Provenzano, SVIMEZ: «Il Sud recupera ma resta il nodo lavoro»

Bisogna riportare i giovani nella pubblica amministrazione il prima possibile. Se si vuole favorire lo sviluppo, l’impresa e il mercato, occorre uno Stato innovatore, intelligente e strategico, oggi
impossibile con questo deficit di competenze nel settore pubblico


A novembre è stato presentato il Rapporto SVIMEZ 2017. Secondo le previsioni per il 2017 e 2018 il Mezzogiorno può farcela ad agganciare la ripresa. Nel corso dell’esposizione dei dati più salienti, lei ha più volte rimarcato quanto questo non fosse affatto un risultato scontato…
Sì, non era scontato data la profondità della crisi durata ben sette anni consecutivi al Sud. Per fortuna il nostro Mezzogiorno ha mostrato una certa resilienza e oggi chiari sono i segnali di ripresa, dalle buone performance del turismo a quelle dell’agroalimentare di qualità. La novità è che finalmente segnali nuovi riguardano anche l’industria. L’industria manifatturiera meridionale è cresciuta al Sud nel biennio di oltre il 7%, più del doppio del resto del Paese (3%). I primi segni di ripartenza del settore manifatturiero fanno ben sperare: sarebbe illusorio pensare di affidare la ripresa dello sviluppo al turismo o all’agricoltura, per quanto ancora abbiano potenzialità inespresse nell’area. Per il Sud è poi essenziale la ripresa dell’edilizia (+0,5%), che ancora appare troppo debole. Insomma, la ripresa è insufficiente a colmare i vuoti della crisi, ma le basi sembrano ora essere più solide.

La ripartenza ha basi più solide ma in un quadro che comunque resta di persistente sofferenza sociale. Le cifre della povertà ad esempio sono allarmanti…
Nel 2016 10 meridionali su 100 risultano in condizioni di povertà assoluta, contro poco più di 6 nel Centro Nord.
Noi della Svimez abbiamo ricondotto la spietatezza di questi numeri al tasso di tasso di occupazione nel Mezzogiorno, ancora il più basso d’Europa (35% inferiore alla media UE), nonostante il recupero dell’ultimo biennio che prosegue anche nei primi due quadrimestri del 2017 (oltre 90 mila rapporti di lavoro nell’ambito della misura “Occupazione Sud”). Il nodo era e resta il lavoro. Mentre il Centro Nord infatti ha superato i livelli occupazionali pre-crisi, al Sud sono 350mila gli occupati in meno rispetto al 2008. All’interno del mercato del lavoro poi si è verificata una ridefinizione della qualità dell’occupazione che esclude in larga parte i giovani e che offre occupazioni a orario ridotto (e quindi a salario ridotto) anche quando si tratta di lavori a tempo indeterminato. Sulla crescita dell’occupazione nel Mezzogiorno incide, infatti, l’esplosione del part time involontario, di poco inferiore all’80% del lavoro a tempo parziale, che non deriva dalla libera scelta individuale ma è determinato da una carenza di domanda. Al drammatico dualismo generazionale, si sta affiancando un deciso incremento dei lavoratori a bassa retribuzione, conseguenza dell’occupazione di minore qualità e della riduzione d’orario, che deprime i redditi complessivi.

È un problema di qualità quindi?
Di qualità e di reddito. Salari ridotti non fanno abbassare le cifre sulla povertà, perché per ogni lavoratore in più non abbiamo, come ci potremmo aspettare, un povero in meno. A incidere in negativo, anche il fatto che l’azione redistributiva pubblica si è molto ridotta, così come la capacità del welfare di rispondere ai bisogni sociali. Come Svimez abbiamo poi evidenziato nel Rapporto quanto la bassa qualità di performance nelle pubbliche amministrazioni sia un problema che riguarda non solo la vita privata dei cittadini, ma anche quella delle imprese.

Una pubblica amministrazione non solo ingessata ma vecchia.
È così e resta emergente l’esigenza di riportare i giovani nella pubblica amministrazione il prima possibile. Negli anni si è assistito, soprattutto al Sud, non solo a un ridimensionamento ma anche a un invecchiamento enorme della P.A., con una media che supera i 50 anni di età e un numero di laureati inferiore a un quarto.
Se si vuole favorire lo sviluppo, l’impresa, il mercato occorre uno stato innovatore, intelligente e strategico, e oggi appare impossibile con questo deficit di competenze nel settore pubblico.
Nel nostro Paese gli investimenti pubblici sono ai livelli più bassi di sempre non perché non si hanno spazi di bilancio, o quanto meno non solo per questa ragione, ma perché non siamo più in grado di farli questi grandi investimenti, non c’è capacità progettuale, nè realizzativa.

Mancano ingegneri, non si parla inglese. Chi si confronta al Sud con la Banca Europea degli Investimenti o con i grandi fondi sovrani?
La sfida di una maggiore efficienza della macchina pubblica al Sud passa per una sua profonda riforma ma anche per un suo rafforzamento attraverso l’inserimento di personale più giovane a più alta qualificazione. È questa la chiave.

«Il Mediterraneo é per il Mezzogiorno un destino da costruire, non da subire»: questa la sua convinzione. Quanto è vicino al Sud a questo obiettivo?
Finora non abbiamo avuto una politica del Mediterraneo.
Abbiamo solo subito la gestione, peraltro insufficiente, dei flussi migratori.
È mancata l’Europa, ma questo non può diventare un alibi: abbiamo perso grandi opportunità strategiche, penso ai porti, ai cinesi che sono andati via da Taranto e hanno preso in mano il Pireo. Per questo abbiamo sottolineato quanto sia ancora importante, non solo per il Sud, ma per l’intero Paese, l’opzione mediterranea. E lo abbiamo fatto provando a uscire da un elenco di buone intenzioni, individuando le sfide e le opportunità concrete su versante della logistica, dell’economia del mare, dell’integrazione delle filiere produttive.
Alle zone economiche speciali che chiedevamo da anni e che finalmente sono state istituite bisogna dare proprio questa missione: riorientare la strategia di internazionalizzazione del Paese e del Sud verso il suo bacino naturale, il Mediterraneo, intorno al quale si giocheranno grandi sfide nel futuro.
I grandi attori globali lo hanno capito, noi fin qui abbiamo fatto troppa fatica. Ma non è mai troppo tardi per recuperare il tempo perduto.