The Brexit effect, prendere o lasciare?

Gli imprenditori non dovrebbero restare a guardare in attesa di vedere cosa accadrà nei prossimi anni, ma agire ora che si stanno ponendo le basi per il futuro dell’Inghilterra e probabilmente dell’Unione Europea tutta

 

Sembra essere di grossa attualità cercare di spiegare quello che accadrà nel Regno Unito con la Brexit, questo anche alla luce di quanto sta accadendo con lo spostamento dell’EMA (Agenzia Europea per il Farmaco) ad Amsterdam e col trasloco dell’EBA (Autorità Bancaria Europea) a Parigi.

La mia personale impressione è che Londra stia solo perdendo un po’ d’interessi, ma che il capitale resti. L’instabilità che in questo periodo sta divampando nell’Ue, vedi appunto quello che è successo per l’assegnazione degli enti di cui sopra o anche cosa sta succedendo in Germania, potrebbe fare infatti molti più danni della Brexit. Questo è, senza dubbio, il punto da cui partire se vogliamo capire che cosa sta succedendo nel Regno Unito.

Occupandomi di processi d’internazionalizzazione delle imprese, sono spesso tra Londra e Istanbul per lavoro. Durante le mie trasferte ho avuto modo di verificare quello che realmente gli inglesi (e non solo) pensano succederà nei prossimi 2 – 4 anni e soprattutto constatare che lo stato di salute dell’economia britannica è buono. Le impressioni dall’interno non sono negative e riflettono appunto le performance economiche (dati pubblicati anche sul sito del governo).

Per prima cosa, il PIL inglese non ha subito la caduta che molti pronosticavano un anno fa ma, anzi, nel 2016 è risultato tra i migliori dei paesi appartenenti al G7 (+1,8%). Vero è che potrebbe essere ancora presto per un eventuale #brexiteffect. In effetti la crescita del Paese è stata rivista al 1,5% nel 2017 al 1,4% nel 2018 e 1,3% nel 2019, ma poi potrebbe risalire fino al 1,9% e 2,0% negli anni 2021-22. Ovviamente sono dati lontani da un’economia in crisi. Ci sono anche altri indicatori come ad esempio la disoccupazione che è scesa per la prima volta dal 1975 al 4,3% e il livello degli investimenti provenienti dall’estero (IDE), si parla di oltre 2.200 progetti registrati nel solo periodo 2016-2017, che indicano il Regno Unito come primo mercato nell’Ue. Lo scorso novembre ero nella City a cena con un alto dirigente di una banca d’investimenti inglese (un ex collega del MBA che da circa 14 anni vive a Londra) e ci siamo soffermati ad analizzare la reazione della popolazione inglese, in stand-by prima di decidere cosa fare nei prossimi anni. É indubbio che c’è chi dall’interno ha paura, ma credo che la Brexit stia ossessionando molto più noi che la viviamo dall’esterno.

Ovviamente stiamo parlando del quarto mercato per esportazione dei nostri prodotti e mi sembra comprensibile avere timori, ma piuttosto che preoccuparci, dovremmo invece agire e subito. Premetto che non è semplice fare una previsione e decidere come agire una volta che l’UK uscirà dall’Unione Europea, ma il sentore è che dal marzo 2019, e per i successivi due anni (fase di transizione), molti imprenditori del vecchio continente rimarranno delusi nello scoprire di aver perso l’ennesima occasione. É evidente che in caso di hard Brexit, l’impatto in termini economici e occupazionali potrebbe essere molto più consistente rispetto a una soft Brexit che porrebbe, invece, l’Inghilterra all’interno dell’unione doganale. Gli imprenditori non dovrebbero però restare a guardare: in questo momento si stanno ponendo le basi per il futuro dell’Inghilterra e probabilmente dell’UE tutta.

Ma quali sono le “priorità” del Governo inglese?

La prima urgenza del governo inglese non può che essere quella di garantire stabilità, continuità e accordi transitori che riducano al minimo le interruzioni di attività per le imprese. Ci saranno punti di scontro – come la questione del controllo dell’immigrazione – ma si andrà verso una serie di compromessi dettati dal reciproco rispetto. Dopotutto, come rimarcato dal Primo Ministro belga Charles Michael, “The UK cannot have its cake and eat it, too” (detto popolare inglese per dire che gli inglesi non possono tenersi la torta e mangiarsela pure). Un messaggio chiaro lo ha inviato il Sindaco Laburista di Londra Sadiq Khan che ha assicurato una certa apertura della capitale britannica tramite l’istituzione di visti di lavoro per la città di Londra. Inoltre, il Regno Unito vuole mantenere un rapporto più stretto possibile con i “neighbours” (i vicini paesi europei), quindi senza interrompere le relazioni commerciali, ma identificando scenari i cui aspetti potremo verificare nel concreto solo dopo che il governo inglese avrà ripreso a correre a “briglie sciolte”.

Che cosa possiamo fare?

Se vogliamo veramente anticipare gli effetti della Brexit, non possiamo ignorare la loro cultura. Anzi, è proprio da questa che dovremmo partire per consolidare i rapporti in essere. Quando ero un giovane AD di un’azienda inglese, mi colpirono le parole di un trasportatore che mi spiegava perché gli inglesi non volessero la UE: «noi siamo un popolo con pochissime leggi, molto chiare; nonostante ciò ti assicuro che è difficile rispettarle tutte; ma voi come fate con migliaia di leggi a rispettarle veramente?». In sostanza mi parlava di un Paese snello, con poca burocrazia e per questo dinamico e concreto. Se approfondiamo bene quello che è stato il processo d’integrazione nell’Ue, notiamo che il libero scambio di prodotti e persone ha portato tutta una serie di nuove leggi, procedure spesso complicate, che hanno finito per compromettere la capacità di reazione dei vari mercati.Un Paese snello è sicuramente quello che meglio di altri potrà concretamente fronteggiare la quarta rivoluzione industriale. Perché avrebbero dovuto rimanere a bordo di un carrozzone?

Molto probabilmente l’UK con il ruolo da sempre centrale nell’economia, si trasformerà in una piattaforma per aziende straniere, si pensi agli USA che già adesso usano la Gran Bretagna come punto di accesso all’Europa.

La ricetta è semplice e i presupposti ci sono tutti. Per prima cosa la Corporate Tax (tassa sulle imprese) in UK già di per sé aggressiva (al 19%) scenderà al 17% dal 1 aprile 2020. È facile intuire che siamo ad un passo dal 12,5% applicato da Dublino. Immaginiamo cosa potrebbe succedere se dal 2021 l’Inghilterra proponesse un abbattimento delle tasse al 12% per 10 anni a tutte quelle aziende che volessero spostare la loro sede in UK. Questo significa che nuove opportunità saranno disponibili prima di tutto per chi avrà avuto la volontà di investire tempo ed energie per formare delle partnership necessarie per durare a lungo.

Nel Regno Unito c’è una correlazione unica al mondo di competenze, conoscenze e industrie. É considerato uno tra i migliori posti al mondo per avviare e far crescere un’azienda, in parte grazie al loro ambiente normativo avanzato, al loro solido sistema legale e a una forza lavoro altamente qualificata.

Il capitale cui si faceva riferimento all’inizio dell’articolo è dato quindi da queste forze intrinseche che rimarranno sempre in quel mercato, condizioni piuttosto rare negli altri paesi Ue e che noi non possiamo trascurare. Per la prima volta, dopo oltre quarant’anni, il Regno Unito potrà di nuovo avere una politica commerciale completamente indipendente, libera di poter stringere legami commerciali con i paesi di tutto il mondo, con partner nuovi e vecchi. Ritengo dunque che chiunque crede di vedere con la Brexit un’Inghilterra alla deriva, si sbagli di grosso, perché, in effetti, gli inglesi hanno scelto un’altra strada: «abbracciare orizzonti più ampi e veramente globali».