Nella fattispecie qui commentata, la Corte di Cassazione ha rigettato il provvedimento dell’azienda perché il fatto rientrava tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della contrattazione collettiva
Con la recente sentenza n. 33134/2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di tardiva trasmissione del certificato medico da parte del lavoratore per l’assenza prolungata dal posto di lavoro che ha comportato l’irrogazione del licenziamento da parte del datore di lavoro.
La Corte di Appello di Firenze ha confermato la sentenza di primo grado con cui era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento per giusta causa per prolungata assenza ingiustificata e ha rigettato le censure proposte dall’azienda, che aveva presentato ricorso in appello.
In primo grado, infatti, il giudice aveva accolto la domanda proposta dal lavoratore, il quale, assente per malattia giustificata da certificato medico, non aveva poi inviato in prosieguo altri certificati nonostante il protrarsi dell’assenza stessa. L’azienda, di conseguenza, provvedeva a contestargli l’assenza ingiustificata prolungata per oltre tre giorni e, trascorsi i termini di legge e di contratto intimava il licenziamento, in quanto il dipendente «era risultato assente dal servizio senza giustificazione poiché ad oggi non è pervenuta alcuna giustificazione medica volta a coprire il periodo di assenza».
Le motivazioni poste alla base della decisione dei giudici risiedevano sulle seguenti circostanze:
1) risultava accertato che la certificazione medica, pur trasmessa in ritardo, era già in possesso dell’azienda nel momento in cui la stessa provvedeva a inviare la lettera di licenziamento, che pertanto così come formulata presentava significative censure;
2) tale certificato, pur presentato tardivamente e rilasciato dal medico curante ad oltre sette giorni di distanza dall’ultimo giorno di malattia coperto dal precedente certificato medico con valutazione ex post eseguita sulla base delle dichiarazioni rese al medico dal lavoratore dallo stesso, era idoneo a giustificare l’assenza. Quanto sopra, sia perché il medico si è assunto le proprie responsabilità nell’attestare l’esistenza di determinate condizioni di salute, sia perché non vi è stata contestazione da parte dell’azienda in merito al certificato medico se non ex post, tant’è che la stessa ha sostenuto di non averlo ricevuto;
3) il contratto collettivo nazionale di categoria conteneva due norme diverse per l’istituto delle assenze, ben distinte tra l’assenza ingiustificata e la sua tardiva o irregolare giustificazione. Infatti, la prima poteva essere sanzionata con un provvedimento espulsivo come il licenziamento, la seconda, invece, con sanzione conservativa come la multa o la sospensione.
Dal tenore testuale di tali disposizioni si evince che le parti sociali hanno inteso punire con il licenziamento quella condotta, che per le modalità con le quali è realizzata, si rivela particolarmente grave. I Giudici della Suprema Corte, pur rilevando il comportamento omissivo del lavoratore che non ha rispettato diligentemente le procedure contrattualmente previste e procurato così disagi organizzativi, ha rigettato il ricorso promosso dall’azienda, condannandola al pagamento delle spese del giudizio, confermando la illegittimità del licenziamento irrogato.