Secondo Agostino Gallozzi, past president di Confindustria Salerno e delegato all’Economia del mare, in questi difficili mesi le grandi compagnie hanno potuto controllare con maggiore attenzione il rapporto domanda/offerta incidendo su riduzione della stiva, contrazione dei servizi e partenze sospese
Presidente, è sempre più chiaro il ruolo decisivo della logistica come supporto materiale della globalizzazione. Ma cosa è successo in questi mesi di pandemia nel suo comparto e cosa ha determinato il vertiginoso aumento dei prezzi dei noli marittimi?
Per meglio chiarire e comprendere cosa stia succedendo oggi, è necessario fare un deciso passo indietro nel tempo. Da più di un decennio, infatti, i noli marittimi sono stati, a fasi alterne, sotto forte pressione e i bilanci delle Linee di navigazione sempre tiratissimi, a fronte di investimenti monster in nuove navi e nuovi equipments. Il commercio internazionale si è così “abituato” a prezzi del trasporto marittimo non remunerativi per le Linee. La continua spinta al ribasso dei noli ha indotto negli anni una profonda riorganizzazione e mutazione dello shipping, che ha prodotto ora le conseguenze cui stiamo assistendo. Dapprima si è verificato qualche fallimento (es.: Hanjin), seguito da diverse acquisizioni e fusioni, tra le quali: Maersk Line, ha incorporato Hamburg Sud, Saf Marine ed altre linee; COSCO ha incorporato China Shipping e acquisito OOCL; HAPAG LLOYD, ha incorporato CSAV, UASC (United Arab), Nile Dutch; le tre linee storiche giapponesi NYK, K Line e MOL si sono fuse dando vita va in ONE Ocean Network Express; CMA-CGM ha acquisito NOL e APL; MSC ha acquisito Messina Line e così via.
Ma le linee non si sono fermate qui, perché a loro volta, dopo le fusioni, si sono riunite in soli tre grandi consorzi o alleanze globali: 2M (MSC, MAERSK LINE); OCEAN ALLIANCE (CMA-CGM, COSCO, OOCL, EVERGREEN); THE ALLIANCE (HAPAG LLOYD, ONE, YANG MING). Questa situazione di oligopolio, in fase ampiamente pre-Covid, ha portato a un consolidamento dei servizi, una concentrazione delle partenze, una crescita enorme della dimensione delle navi, con l’obiettivo dell’abbattimento dei costi di esercizio, alla luce della scarsa remuneratività dei ricavi. Grazie al minore numero di player in campo, è stato possibile controllare con molta maggiore attenzione il rapporto domanda/offerta, eliminando più velocemente quei servizi ad esercizio non positivo.
E una volta che il mondo è stato sconvolto dalla pandemia, cosa è accaduto?
Un primo lock-down ha visto il sostanziale arresto delle produzioni in Cina e nel resto del mondo e, allo stesso tempo, un analogo sostanziale blocco dei consumi. Un secondo lock-down ha comportato una parziale riapertura delle produzioni e una differenziata articolazione del consumi, legata a capacità di spesa disomogenea da area ad area, da lavoratore a lavoratore, da classe sociale a classe sociale, con una modifica della tipologia degli acquisti da parte di chi ha conservato o recuperato la propria capacità di spesa (meno viaggi, servizi, ristorazione, palestre, cinema, teatri, etc, più beni di consumo in larga parte acquistati via e-commerce); una terza fase ha visto una forte accelerazione della ripresa delle produzioni ed esportazioni in alcune parti del mondo, particolarmente in Cina, paese a caccia di mercati con capacità di spesa “where-ever it takes”, innanzitutto in direzione USA, per collocare le proprie produzioni. Rispetto al passato, questa volta le linee di navigazione hanno reagito molto drasticamente al verificarsi del primo lock-down. Per bilanciare l’offerta alla contrazione della domanda, hanno ridotto la stiva, fermando servizi e sospendendo partenze. In questa fase sono stati congelati o rinviati tutti gli ordini di nuove navi e nuovi containers (peraltro ormai prodotti quasi esclusivamente in Cina). Forse per la prima volta la strategia ha funzionato, dal punto di vista dello shipping, grazie anche alle aggregazioni effettuate negli anni precedenti. In tutto il periodo successivo le linee si sono mostrate molto caute nell’incrementare nuovamente la capacità di trasporto.
Così caute che siamo arrivati all’escalation attuale dei prezzi dei noli marittimi, cui si è aggiunta anche l’aggravante della carenza di contenitori vuoti?
Sì. Alla questione dell’insufficienza delle capacità di trasporto si è aggiunta infatti la penuria dei contenitori vuoti in alcune aree export del globo, la cui disponibilità è ovviamente indispensabile per l’imbarco della merce in partenza. Di fatto grandissime quantità di contenitori vuoti sono state rallentate nei porti di sbarco dell’import (particolarmente negli USA e in Nord Europa) o nelle aree interne di consegna (anche perché il lockdown ha ridotto le forze lavoro in campo) provocando la loro indisponibilità in molte aree export. C’è da aggiungere che l’elevatissimo livello raggiunto dai noli per le merci in partenza dall’area Far East ha reso conveniente far rientrare i vuoti il più velocemente possibile proprio in quella parte del mondo, per accettare il carico in export al più alto livello di remunerazione per le Linee di navigazione. Di rimando, la mancanza di spazio sulle navi, così come quella di contenitori vuoti per l’export, con una crescente e repentina pressione della domanda sul mercato, hanno generato una stratosferica escalation dei noli, innanzitutto sulle tratte marittime in genere verso Ovest, Cina/USA, Cina (e Far East in genere)/Europa (Italia incluso) ed Europa (Italia inclusa)/USA, con una lievitazione meno marcata in ambito intra-mediterraneo e intra-europeo, nonché delle rotte in genere verso Est.
Rispetto alla crisi del 2008, quali le differenze?
Nel descrivere la crisi planetaria causata dalla pandemia di Covid-19, si fa talvolta riferimento alle conseguenze di un evento bellico, oppure alla crisi del 2008. In realtà ambedue i confronti non reggono. Nel primo caso, con l’effetto bellico sussiste la sola sciagurata similitudine del terribile numero di decessi, ma di contro la macchina produttiva mondiale rimane del tutto intatta e quindi pronta alla ripartenza, anche con grandi accelerazioni, non appena ristabilita la capacità di lavoro da un lato e di spesa delle popolazioni dall’altro. Nel secondo caso, occorre invece ricordare che quella del 2007-2008 fu una crisi finanziaria segnata da una crisi di liquidità e di solvibilità, con una scarsità di credito alle imprese e al consumo, con effetti perdurati oltre il 2012. In altre parole, fu la crisi finanziaria a tramutarsi poi in una crisi economica, modificando profondamente, con rilevanti effetti deflattivi, gli assetti sul lungo periodo a livello globale. Oggi ci troviamo invece di fronte ad una crisi economica determinata dalla temporanea sospensione dei fattori di produzione e delle capacità di spesa (consumi), a fronte di grande liquidità, disponibile a livello planetario, in attesa di collocazione. Ciò significa che, rimossi gli elementi che hanno determinato il rallentamento di produzioni e consumi, si potrebbe assistere a grandi accelerazioni della ripresa. Questa considerazione trova conferma in quanto si sta già verificando in alcune aree del mondo, in cui si assiste a delle vere “frustrate” di ripresa. Basti dire – fonte Bloomberg -che la Cina nel primo trimestre del 2021 vede il PIL crescere del 18,3%. Negli USA, secondo il FMI, si prevede una crescita del 6,4%, mentre nella zona euro del 3,8%. Da qui è facile intuire che il rapporto produttori-consumatori favorisce una crescita molto sostenuta dell’interscambio dalla Cina verso gli USA e, naturalmente le altre aree del mondo, e anche tra Italia ed Europa verso gli USA (non casualmente sono le due direttrici che hanno manifestato la più alta esclation dei noli). La ripresa dell’interscambio, con una forte accelerazione, ha presto saturato e anzi sopravanzato totalmente le capacità del trasporto marittimo, con una domanda molto più consistente dell’offerta. In un mondo sempre più globalizzato e, allo stesso tempo sempre più interconnesso, sia materialmente attraverso le reti del trasporto, sia immaterialmente grazie alle reti IT, ogni variazione non solo è sempre velocissima e di grande impatto, ma si riverbera, con effetto a cascata, sulle relazioni commerciali e mercantili tra ogni area del pianeta.
A quando il riequilibrio allora?
La svolta avverrà a fronte del completamento di una planetaria campagna di vaccinazioni che, consentendo le riaperture dei siti di produzione e il recupero della capacità di spesa delle popolazioni mondiali, consentirà il riequilibrio tra domanda e offerta, produzioni e consumi, su scala globale. Nel giro di sei mesi/un anno saranno disponibili nuove costruzioni navali e nuove flotte di contenitori nuovi. Tutto ciò genererà una graduale riduzione dei noli, che però non raggiungeranno il livello “bassissimo” e non remunerativo del periodo ante-covid, perché nel frattempo le linee di navigazione hanno imparato la lezione della redditività. Alcune considerazioni – in questo frangente – sono state comprese in modo molto evidente. Innanzitutto la conferma che la globalizzazione sia una realtà rispetto alla quale non si torna più indietro, ma che può funzionare solo a patto di disporre di un sistema dei trasporti marittimi e della logistica, capace di coprire le grandi distanze in modo efficiente e competitivo, garantendo la disponibilità di un reticolo complesso di interconnessioni pluridirezionali che, attraverso un insieme adeguato di gateways portuali, traguardi l’integrazione tra le reti lunghe delle rotte d’oltre mare e le reti brevi terrestri, della distribuzione territoriale. Sebbene molto complicato e forse improbabile almeno nel breve periodo, perché rispondente ad una logica di libero mercato, andrebbero meglio analizzate le conseguenze delle grandi concentrazioni in materia trasportistica, inclusa la corsa al gigantismo navale, all’acquisizione dei terminal portuali, delle aziende del trasporto terrestre e delle spedizioni. Le grandi concentrazioni infatti, se da un lato possono assicurare una maggiore efficienza gestionale e operativa legata alle economie di scala, dall’altro possono essere la via che conduce ad una distorsione proprio del libero scambio.
E sul futuro del nostro Paese è ottimista?
Occorre rinforzare lo standing di un’Italia grande Paese manifatturiero delle produzioni di qualità, rese competitive nel mondo, grazie anche al vantaggio logistico della propria posizione nel Mediterraneo, sulle rotte dell’interscambio tra est ed ovest. Una “visione-Paese” export oriented, a forte vocazione internazionale, che attiene anche al comparto turistico orientato, allo stesso modo, verso i mercati del mondo. Su questa visione dovranno essere rese coerenti e omogenee tutte le iniziative da attivare: politica industriale, politiche del lavoro, formazione dei giovani all’internazionalizzazione, accompagnamento istituzionale, up grading infrastrutturale, solo per citarne alcune. Se queste sono le possibili ambizioni strategiche del nostro Paese, risulta evidente la assoluta centralità del suo sistema infrastrutturale e portuale, che va costantemente riallineato alle veloci dinamiche evolutive del mondo dello shipping, così da essere il più potente e competitivo gateway verso i mercati della globalizzazione. Ma è innanzitutto necessario modificare quello che possiamo definire lo status culturale della pubblica amministrazione, perché i tempi di realizzazione e di adeguamento sono da troppo tempo dissonanti rispetto alla velocità con cui si muovono gli altri Paesi e rispetto a quanto accade nel mondo.