Competenze: un camaleonte concettuale determinante

Analisi di un tema molto complesso che coinvolge vari sistemi interconnessi, da quello educativo di istruzione e formazione a quello del mercato del lavoro

 

La prima vera teorizzazione sul tema delle competenze si deve a David C. McClelland che, all’inizio degli anni Settanta, introdusse tale termine per la valutazione e selezione del personale, nello scenario della psicologia dell’organizzazione statunitense. Da allora ha avuto un notevole successo, e una continua evoluzione, pur restando, spesso, ambiguo sia se usato al singolare, “competenza”, intesa come capacità generale di orientarsi in un determinato campo, sia se usato al plurale, “competenze”, intese come una serie di capacità in azione (conoscenze teoriche, abilità pratiche, attitudini comportamentali e relazionali).

A tal proposito Le Boterf (2000) parla di “camaleonte concettuale”. Data la premessa appare chiaro che quello delle “Competenze” è un tema molto complesso da affrontare perché richiede di essere analizzato da varie prospettive e coinvolge vari “sistemi interconnessi”: da quello educativo di istruzione e formazione, forse il più complesso, a quello aziendale e del mercato del lavoro; da quello “tecnologico” a quello “umanistico”; da quello sociale a quello economico; ecc.. Nello scenario attuale, il tema delle “competenze” è diventato sempre più cruciale; tanto che il 2023 è stato proclamato “Anno europeo delle competenze” dalla Presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione 2023. In una società e in un mondo del lavoro in continua evoluzione, in cui sono richieste competenze sempre più avanzate ed aggiornate, oltre alle competenze digitali (oramai imprescindibili) e tecniche (hard skills), assumono un ruolo sempre più importante, un ruolo chiave, le competenze trasversali (soft skills). Questo perché tali competenze rappresentano l’attitudine di una persona sul posto di lavoro (dal modo di relazionarsi con i colleghi alla capacità di risolvere problemi più o meno complessi, alla capacità di ascolto ed empatia, ecc.) e la sua “capacità di evolvere”.

A confermare l’importanza delle competenze trasversali vi sono numerosi studi internazionali, tra cui il Report “The future of jobs” elaborato dal World Economic Forum, che colloca le competenze trasversali tra le categorie centrali nei processi di assunzione. Da qui al 2025, si stima che capacità come creatività e pensiero innovativo, apprendimento attivo, problem solving, pensiero critico e analitico, time management, capacità comunicative (tutte annoverabili tra le soft skills) saranno le top skills più richieste dai datori di lavoro.

Appare chiaro, quindi, che a fare la differenza siano proprio le persone e che la strada da perseguire sia quella di coltivare la propensione a “imparare ad imparare” (competenza metacognitiva) in tutti i contesti, anche quelli più informali, partendo dal presupposto che l’apprendimento continuo è l’arma più potente che abbiamo per adattarci con successo a uno scenario volatile e in continuo mutamento in cui le tecniche e le competenze diventano obsolete nel volgere di pochi anni. In un contesto in cui le persone si trovano nella ricorrente necessità di riorganizzare e reinventare i propri saperi, le proprie competenze e persino il proprio stesso lavoro, è cruciale il ruolo che il sistema istruzione (scuole e università) deve svolgere per attrezzare l’individuo ad affrontare questo percorso.

Il sistema istruzione è chiamato a formare la persona, a fornire quella “cassetta degli attrezzi” per far sì che ciascun individuo possa essere in grado di far evolvere le proprie competenze durante tutto l’arco della vita anziché (come purtroppo accaduto negli ultimi anni) inseguire dei modelli di istruzione “specialistica” verticale, falsamente o, peggio, erroneamente orientati al mondo del lavoro, che in un contesto sociale e del mercato del lavoro così mutevole e dinamico non risultano adeguati. Modelli di istruzione, peraltro, già adottati qualche decennio fa da altri Paesi (tra cui gli USA) che, poi, si sono ricreduti guardando ad altri modelli come, ad esempio, al “vecchio” modello italiano, che nel passato ha dato buoni risultati e che, quindi, non andrebbe completamente stravolto ma semplicemente aggiornato e “reingegnerizzato”.

Prova dell’inefficienza di quanto fatto negli ultimi anni è data dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro a livello nazionale con il paradosso di avere un gran numero di posizioni lavorative aperte, con un tasso di posti vacanti pari a circa il 2,5% (con punte che superano il 5% per alcune posizioni tecniche ad alta specializzazione), e tanti disoccupati o inoccupati. Ma torniamo al ruolo del sistema istruzione che non può essere quello di inseguire lo sviluppo di singole tecniche e competenze, bensì quello di formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali, presenti e futuri. Un sistema in grado, dunque, di fornire solide conoscenze di base, favorire lo sviluppo delle soft skills e, soprattutto, l’acquisizione di una metodologia di apprendimento per sviluppare la propensione ad “imparare ad imparare” e per far sì che ciascun individuo sia progressivamente autonomo nei propri percorsi conoscitivi ed essere, così, in grado di far evolvere le proprie competenze durante tutto l’arco della vita. Appare ovvio, infatti, che non possono esistere conoscenze e abilità senza solide competenze di base e metodologie di apprendimento necessarie per acquisire nuove competenze.

Conoscenze, competenze e abilità costituiscono una triade indissolubile. A tal fine, sia gli Istituti di Istruzione Media Secondaria Superiore sia il primo triennio dei corsi di Laurea dovrebbero puntare a questo obiettivo. Quello di creare solide basi. Lasciando al biennio della specializzazione (e ai successivi master), per i corsi di laurea, e agli Istituti Tecnici Superiori (ITS), per il ciclo di istruzione secondaria superiore, il compito di effettuare quella “curvatura” formativa che tenga conto delle specifiche richieste ed esigenze del mondo del lavoro.

È da segnalare, poi, che di recente il Consiglio dei Ministri ha approvato un DDL per la riforma degli Istituti Tecnici e Professionali della Secondaria Superiore che prevede una sperimentazione in larga scala di un modello 4 + 2, con percorsi scolastici quadriennali più due altre annualità negli ITS Academy con attività formative tecniche e di stage in stretta collaborazione con il tessuto produttivo al fine di effettuare una curvatura delle competenze che tenga conto delle specifiche esigenze delle aziende del territorio per un successivo, auspicabile, inserimento negli organici aziendali