Si spinge verso la semplificazione dei procedimenti amministrativi nel settore. Sarà sufficiente?
Se, come appare evidente, la problematica che ci vedrà già impegnati nei prossimi anni, è il cambiamento climatico, le sue cause e il modo per limitarne le conseguenze, ne segue che uno dei settori industriali certamente più seguiti è quello della produzione dell’energia da fonti rinnovabili per sostituire quelle fossili, come, peraltro, da impegni assunti in diverse occasioni degli Stati Sovrani.
L’Italia si è avviata su questo percorso e – sembra – sia partita bene, perché nel 2020 il contributo al Paese per l’energia rinnovabile (eolico e fotovoltaico soprattutto) si è attestato intorno al 20%, superando la previsione del 17%.
Per conseguire gli obiettivi dei Trattati Internazionali (2030 primo step e poi 2050, con eliminazione delle fonti fossili) il più velocemente possibile, sono intervenute anche delle norme di legge che hanno introdotto, non solo agevolazioni fiscali e innovazioni tese ad incentivare questo settore, ma anche a semplificare le procedure. Con la legge 29 luglio 2021 n. 108, che ha convertito in legge con alcune modificazioni il Decreto Semplificazioni Bis, si è definito il quadro normativo nazionale per facilitare la realizzazione di traguardi e degli obiettivi stabiliti, in specie del PNRR e ha innovato anche in termini di energie rinnovabili.
In primis, la legge modifica la disciplina sull’autorizzazione unica regionale, a valle del complesso iter di Conferenza dei Servizi per tali impianti di fonti rinnovabili, disponendo che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali continui, ovviamente, a partecipare alle procedure, ma decorso inutilmente il termine per l’espressione del suo parere, l’amministrazione competente che conduce il procedimento, provvede (rectius: può provvedere) comunque sulla domanda di autorizzazione, e questo senza che il rappresentante del Ministero (come in precedenza) possa attivare i rimedi previsti dalla normativa previgente e cioè l’opposizione al Presidente del Consiglio la determinazione della Conferenza di Servizi.
É una norma certo incisiva, perché impone che tutto si determini in seno alla Conferenza di Servizi, e talvolta smaschera anche un paradosso, tra chi spinge per tutelare l’ambiente, realizzando impianti di energia rinnovabili e chi, in forza del medesimo valore, pur se sotto altro profilo, li ostacola attraverso un’eccessiva, contrapposta discussione, talvolta di solo principio. Ancora, è previsto per la costruzione ed esercizio di impianti fotovoltaici di potenza significativa, sino a 20 MW (soglia raddoppiata in sede di conversione del D.L.), connessi alla rete elettrica di media tensione e localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale, si applichi la procedura abilitativa semplificata (PAS), che prima riguardava solo i c.d. mini-impianti. La PAS trova ora anche applicazione agli impianti aventi le caratteristiche citate nella legge e anche situati in discariche e cave, o lotti di cava, non suscettibili di ulteriore sfruttamento, per i quali l’Autorità competente al rilascio dell’autorizzazione abbia certificato il completamento delle attività di recupero e ripristino ambientale previste dal titolo autorizzativo, nel rispetto della normativa vigente. Interessante è soprattutto la disposizione che permette il recupero del suolo di aree spesso inquinate (come le discariche) possa trovare uno sbocco utile alla comunità, quasi a ristoro delle stesse.
Ancora, la c.d. verifica di assoggettabilità a VIA (c.d. screening) degli impianti fotovoltaici, è stata elevata a 10 MW, purché il proponente alleghi un’autodichiarazione dalla quale risulti che l’impianto non si trova all’interno delle “aree particolarmente sensibili” indicate dalle Regioni ai sensi della lettera F dell’allegato 3 del D.M. 10 settembre 2010. Tale disposizione si riferisce agli impianti localizzati in area a destinazione industriale, produttiva o commerciale, nonché in discariche e cave.
Vi è dunque una forte semplificazione autorizzativa e ambientale per impianti di potenza fino a 10 MW e una semplificazione autorizzativa per gli impianti di potenza compresa fra i 10 e 20 MW.
La legge, con norma transitoria, ha opportunamente precisato che le modifiche si applicano alle istanze presentate dopo il 31 luglio 2021 e dunque esse non potranno avere alcun impatto sui procedimenti in corso e iniziati prima di quella data. Infine è prevista la semplice CILA (“Comunicazione di inizio lavori certificata”) per gli interventi su impianti esistenti non sostanziali, come ad esempio interventi su progetti e impianti fotovoltaici e idroelettrici esistenti, che non comportino modifiche delle dimensioni fisiche degli impianti, del volume delle strutture, delle aree interessate dagli impianti e dalle relative opere, indipendentemente dalla potenza risultante a seguito dell’intervento. O, ancora interventi su progetti eolici, impianti e relative opere realizzate nelle stesse aree degli impianti eolici che causino una riduzione minima del numero degli aerogeneratori già autorizzati e installati, indipendentemente dalla capacità risultante a seguito dell’intervento.
Si tratta di novità importanti che certamente vanno in una direzione giusta, anzi obbligata. Rimane sempre il solito problema che riguarda l’Italia: basterà? E la burocrazia sarà a fianco o di ostacolo a tale rinnovamento e semplificazione?
Nel nostro Paese, nei procedimenti ove è impegnata la P.A., riesce più facile “dire di no”, e non manca mai quella che è nota come “amministrazione difensiva”, la “paura della firma”, a volte giustificata da norme non semplici, fraintendibili. Ciò però porta poi a contenziosi, rallentamenti e non sempre, quando la P.A. soccombe, le imprese sono ristorate con adeguati risarcimenti in sede giudiziaria.
Non bastano quindi le leggi di semplificazione, né tantomeno i proclami sui risultati raggiunti e da raggiungere entro il 2030 o il 2050 (che è domani, non è il futuro).
Da osservatore, credo si debba non solo insistere, ancora e sempre, affinché siano scritte leggi chiare, anche per non far svanire il principio di autorità, che ha come corollario proprio la difficile interpretazione della norma; non solo accompagnare le riforme con adeguate forme di aggiornamento professionale; non solo prevedere incentivi forti ad obiettivi per i funzionari, premiando coloro che producono proprio in senso aziendale di più arrivando a procedimenti definiti, ma va detto con chiarezza, è il momento di un deciso svecchiamento delle classi dirigenti della P.A..
L’immissione – questa, sì, agevolata – nei quadri della P.A. di giovani, attrezzati su queste tematiche, cui sono certo più sensibili, oltre che sulla forte digitalizzazione in atto e sempre più avanzata, farebbe sì che la prospettiva di chi opera non sia più “futuribile”, ma di necessità e di vivibilità immediata per essi stessi. E credo che questo aiuti.
Si fa per loro, per i più giovani, che devono essere i protagonisti, senza paure e incrostazioni non più gestibili da un Paese che vuole sentirsi moderno e al passo delle necessarie contingenze.