Energia e scienza a misura di donna

Bosetti, presidente Terna: «Sul clima è necessario un momento di discontinuità nel campo delle policies e delle istituzioni»

 

Presidente, si è da poco conclusa la COP27 sul clima tenutasi in Egitto. Uno dei punti salienti del confronto è stato il tema dei risarcimenti ai paesi più vulnerabili alla crisi climatica, il cosiddetto meccanismo Loss&Damage. Sono stati compiuti passi decisivi?

Ricordiamo innanzitutto le tre dimensioni principali delle negoziazioni: 1) la mitigazione, ossia la riduzione delle emissioni e quindi della causa del problema; 2) l’adattamento, ossia gli sforzi a difenderci dal cambiamento climatico che vedremo (immaginate i condizionatori oppure le barriere tipo il MOSE); 3) Loss&Damage, ossia quelle perdite che colpiranno i Paesi più vulnerabili nonostante gli sforzi per ridurre il cambiamento climatico al minimo e gli investimenti in adattamento.

Questa COP si è concentrata su quest’ultima dimensione. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo pieno, l’accordo raggiunto definisce un fondo che permetterà ai Paesi più vulnerabili a cambiamenti climatici di risollevarsi da queste perdite. Durante il prossimo anno una coalizione di Paesi studierà quindi i meccanismi che delineeranno la forma di questo fondo e quali Paesi e istituzioni finanziarie vi dovranno contribuire. A consentire la chiusura di questo accordo è stata l’assenza di qualsiasi riferimento ad una “ammissione di responsabilità”, assenza essenziale per ottenere la firma di Paesi quali gli Stati Uniti. In questo modo si è riuscito a superare lo stallo cui inevitabilmente conduce la discussione sulle “responsabilità storiche” del cambiamento climatico. Se vogliamo vedere il bicchiere mezzo vuoto, gli elementi da definire sono ancora molto numerosi e questo fondo potrebbe rivelarsi non sufficiente per i tanti Paesi più vulnerabili.

Altro nodo è stato quello del phase-out dai combustibili fossili. Di quanto deve calare l’uso del carbone perché le conseguenze sul clima non siano catastrofiche?

La risposta è molto semplice: gli investimenti in generazione a carbone devono andare a zero per i nuovi impianti e si deve immaginare la più rapida uscita possibile da questo combustibile. Diversi Paesi sono tuttavia tornati insoddisfatti dalle negoziazioni perché sul tema mitigazioni delle emissioni non si sono fatti passi avanti.

Appunto. Sulla riduzione delle emissioni, invece, il problema resta irrisolto. Secondo lei, a livello planetario, siamo in tempo ancora per adattarci e mitigare gli effetti nocivi delle emissioni di gas serra o è obbligatorio fermarsi del tutto?

Questo problema può essere risolto. Se fino a qualche anno fa il tema riguardava il costo che avremmo potuto essere disposti a pagare per la transizione, con l’innovazione tecnologica degli ultimi dieci anni il problema del costo è di fatto superato.

Siamo in grado, grazie alla tecnologia, di piegare la curva delle emissioni verso una traiettoria che ci porti fuori dagli scenari più pericolosi e, nel farlo, porteremmo a casa diversi benefici collaterali, quali una migliore aria da respirare e una minore dipendenza dalle importazioni di combustibili fossili. Rimane la difficoltà di allineare tanti interessi diversi, di coordinare uno sforzo che non può essere né unilaterale, né temporaneo. È, a mio avviso, a questo punto necessario un momento di discontinuità nel campo delle policies e delle istituzioni.

Nel nostro Paese, Terna ha destinato quasi 20 miliardi di euro in 10 anni per la transizione energetica e lo sviluppo. Nel piano c’è posto anche per Salerno, con il Tyrrhenian Link. Quali sono gli obiettivi e quali saranno invece i vantaggi per il sistema e l’ambiente?

Il Tyrrhenian Link è il più importante progetto al mondo di trasmissione di energia elettrica sotto il mare, un’opera di eccellenza ingegneristica italiana che consentirà di accelerare in maniera determinante lo sviluppo delle fonti rinnovabili. Attraverso un doppio cavo sottomarino di circa 970 chilometri di lunghezza e 1.000 MW di potenza in corrente continua e con un investimento complessivo di 3.7 miliardi di euro, il Tyrrhenian Link sarà anche fondamentale per incrementare l’affidabilità della rete e promuovere la sicurezza energetica. 

Il “Ramo Est,” il cui primo cavo sarà operativo a fine 2025, unirà Campania e Sicilia, mentre il “Ramo Ovest” collegherà quest’ultima alla Sardegna. L’opera sarà a regime nella sua interezza nel 2028. Nella realizzazione del progetto saranno coinvolte 250 imprese, con importanti ricadute per i territori coinvolti.

Il nostro Paese è sulla buona strada per diventare – come lei stessa ha più volte dichiarato – un hub dell’energia pulita? Quanto pesano i complicati processi autorizzativi o le regole del mercato elettrico?

L’Italia è sicuramente nella posizione ideale per diventare l’hub energetico del Mediterraneo grazie a progetti come il Tyrrhenian Link e alle interconnessioni con gli altri Paesi: già oggi Terna gestisce 26 interconnessioni con l’estero e il nostro piano industriale prevede, fra gli altri, il raddoppio del collegamento con la Grecia e un nuovo elettrodotto con la Francia. Stiamo inoltre lavorando al progetto che unirà la Sicilia alla Tunisia, che è previsto entri in funzione nel 2028 e che unirà Europa e Africa rendendo il nostro Paese davvero il cuore del Mediterraneo.

Un’ultima domanda all’”economista del clima”: quali sono per lei le parole chiave di un modello economico ambientalmente compatibile?

Quando sono nata, su questo Pianeta eravamo la metà di oggi (ed eravamo già tanti!). Oggi siamo 8 miliardi. Non è possibile pensare al Pianeta come a un sistema illimitato. Non lo è ovviamente in alcun caso, ma quando si è in pochi si può credere alla illusione che le risorse naturali, le foreste, l’acqua, tutto sia illimitato e autorigenerante.

È imperativo, oggi più che mai, pensare invece come un astronauta, che vive in un sistema chiuso e che deve bilanciare ciò che viene prodotto, rigenerato o distrutto per sempre. Viviamo in un sistema chiuso e abbiamo le conoscenze, e quindi la responsabilità, per mantenerlo in equilibrio.