Cultura e Archeologia: l’impatto del brand Unesco sui territori

Le strategie di sviluppo per rendere concreta, soprattutto al Sud, la domanda turistica oggi solo potenziale, attraendo dall’estero una spesa turistica all’altezza della numerosità e importanza dei suoi siti

 

Anche quest’anno, SRM ha partecipato alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico, giunta alla XXV edizione, presentando un nuovo numero della collana Cultura e Archeologia per un turismo sostenibile e di qualità dedicato, per l’occasione, al tema “L’impatto del brand Unesco sui territori”.

L’obiettivo è stato quello di analizzare il potenziale impatto territoriale, alla luce dell’attribuzione del riconoscimento Unesco, dei grandi siti di turismo archeologico-culturale, con particolare riferimento al Mezzogiorno.

L’ambito dell’analisi riguarda, quindi, i siti UNESCO afferenti al turismo storico-archeologico (monumenti, agglomerati, siti). In tale ambito, il nostro Paese rappresenta una eccellenza mondiale per numero e diversità: ne conta 45, dei quali 12 concentrati al Sud.

Nella “Lista del Patrimonio Mondiale” dell’UNESCO vengono indicate le opere frutto dell’ingegno umano o della natura, la cui «conoscenza» e «salvaguardia» è ritenuta fondamentale per tutta l’Umanità.

L’inserimento di un sito nella lista può essere anche fonte di valorizzazione dello stesso con un impatto socio-economico sul territorio. Molti dei beni presenti nella World Heritage List sono infatti delle vere e proprie attrazioni turistiche.

La dimensione economica del fenomeno, per il nostro Paese, è fortemente influenzata dai flussi di visitatori internazionali. Nel 2022, la spesa turistica degli stranieri in Italia è tornata ai livelli pre-Covid, dopo il crollo dovuto al lockdown del 2020, con un trend costantemente crescente. Solo 7,4 miliardi, dei 44,3 spesi in Italia da viaggiatori internazionali, ovvero meno del 17%, ricadono nel Mezzogiorno, benché il 27% dei siti archeologici Unesco siano concentrati al Sud. Già da tale dato molto generale di discrepanza fra quota di spesa e quota di offerta di siti Unesco si riscontra una difficoltà di sistema da parte del Mezzogiorno nell’attrarre dall’estero una spesa turistica all’altezza della numerosità e importanza dei suoi siti.

Per quanto, invece, riguarda lo specifico segmento storico-archeologico relativo ai visitatori dall’Italia e dal resto del mondo, il Mezzogiorno ha una parte adeguata rispetto al 27% di aree Unesco storico-archeologiche riconosciute: il 30% dei visitatori e il 27% degli introiti totali. Ciò significa che è soprattutto il flusso di turisti italiani a innalzare le performance del sistema museale e archeologico meridionale, atteso che, come detto prima, la spesa turistica degli stranieri in tale ripartizione è particolarmente bassa. Tuttavia, il turismo storico-archeologico del Sud è polarizzato in misura eccessiva sulla sola Campania e, in particolar modo, sulla provincia di Napoli per l’attrattività dell’area di Pompei ma in realtà potrebbe valorizzare moltissimi territori per la sua rete di siti Unesco distribuita anche fra Puglia, Basilicata, Sicilia, Sardegna.

Dopo un inquadramento definitorio del concetto di sito Unesco, una mappatura dello stesso per l’Italia e una analisi generale dei flussi turistici nazionali e regionali, è stato discusso l’impatto complessivo dei siti sul territorio secondo la letteratura prevalente, nazionale e non, e sono stati illustrati tre casi di studio per il Mezzogiorno: Pompei, Palermo-Cefalù e Matera (quest’ultima destinataria anche della nomina a capitale europea della cultura). Il lavoro di rassegna della letteratura dà una risposta non univoca e complessa. Sicuramente il riconoscimento Unesco ha un forte potenziale di attrazione/generazione di investimenti di difesa, protezione/recupero del bene storico/archeologico riconosciuto ma, in termini più propriamente di sviluppo locale, si può affermare che il semplice riconoscimento del sito da parte dell’Unesco, assunto da solo, potrebbe non avere effetti significativi, e a volte non generare nemmeno ricadute significative sul tessuto produttivo direttamente legato al turismo se non associato a “politiche attive”.

La letteratura in materia sembra evidenziare che il riconoscimento Unesco di un sito possa essere soltanto un tassello di una strategia di sviluppo più ampia, che prenda in considerazione i punti di forza e debolezza di tutto l’areale circostante, che consideri ad esempio il tema dell’accessibilità al sito attraverso opportuni investimenti infrastrutturali, che riesca a dialogare con i circuiti turistici internazionali più importanti e che poggi su un solido capitale sociale costituito da un network robusto di attori locali protagonisti dello sviluppo. In tale strategia più ampia, il riconoscimento è un elemento di marketing e valorizzazione dell’immagine interessante ed utile. Ma la strategia deve nascere per così dire dal basso, o da un proficuo dialogo fra alto e basso, non essere calata dall’alto e da lontano senza una opportuna concertazione ed una reale conoscenza del territorio.

Se tutti questi tasselli venissero ben posizionati e valorizzati all’interno di un’ampia strategia di sviluppo, il brand Unesco sortirebbe un considerevole effetto positivo sul territorio di riferimento. Concentrandosi sulla dimensione economica, la maggiore attrattività turistica derivante ad esempio dalla valorizzazione dei siti UNESCO mediante un’adeguata politica di sviluppo determina un rilevante impatto sul PIL. Dall’ultimo aggiornamento di SRM risulta che l’Italia, a parità di spesa, per ogni presenza turistica aggiuntiva nel Paese, genera 144 euro di VA e, nel caso del turismo culturale, il suddetto valore sale a 145 euro e continua a salire quanto più l’offerta turistica diventa integrata con il territorio. Sotto questo punto di vista, il Mezzogiorno presenta evidenti potenzialità da valorizzare dato che si caratterizza per un’ampia offerta di siti archeologici UNESCO integrabile con i diversi tematismi esistenti. Il moltiplicatore di presenze, che ammonta a 131,7 euro, può proseguire il suo percorso di crescita nel tempo (negli anni 2010-2019 è cresciuto dell’86%), accorciando sempre più le distanze dalla media nazionale (Italia +39%).

Infine, volendo quantificare la domanda turistica potenziale presente nelle province meridionali in cui sono localizzati i siti Unesco, questa ammonterebbe a 10,6 milioni di arrivi.

Grazie all’implementazione di una policy di governance attiva, vale a dire adeguata ai diversi contesti dei siti Unesco esistenti, integrata con gli altri tematismi esistenti ma anche fondata sullo sviluppo di sinergie con la sfera sociale, economica, culturale e infrastrutturale ne deriverebbe una maggiore attrattività turistica che si stima potrebbe generare un allungamento del soggiorno di almeno un giorno. Questa maggiore permanenza si tradurrebbe in una crescita del valore aggiunto turistico tra 1,4 e 1,6 mld di euro, arrivando a circa il 6-7% del Pil turistico del Mezzogiorno.