L’importanza di conoscersi per un armonico equilibrio interiore e per dare il meglio nel lavoro. Il racconto di sè di Caterina Oricchio, componente del direttivo del Comitato Femminile Plurale di Confindustria Salerno
La sua azienda, la Oricar, è alla seconda generazione. Lavorare “in” e “con” la famiglia cosa significa per lei?
Significa vivere in un continuo flusso vitale famiglia/azienda e viceversa. Essere famiglia ci aiuta ad avere un dialogo più semplice, un confronto privo di schermature; significa non sentirsi mai soli in qualsivoglia scelta, in un certo senso costantemente protetti.
Non è sempre facile perché c’è il rischio che le dinamiche familiari influenzino comportamenti e situazioni.
Per fortuna in famiglia abbiamo cercato e trovato il giusto equilibrio. E lo abbiamo reso un “pilastro” e una caratteristica della nostra azienda.
Non siamo più un’azienda a gestione familiare ma delle nostre origini abbiamo scelto di portare avanti i valori, l’impronta, i punti di forza. C’è voluta tanta determinazione ma raccogliere i frutti di questo lavoro è assolutamente gratificante.
Quando era bambina, alla fatidica domanda «cosa vuoi fare da grande?» aveva già chiara la risposta o il tempo gliel’ha modificata?
Sono nata e cresciuta nella Oricar ma per un breve periodo avevo il desiderio di fare altro. Quando mi sono resa conto che, anche durante gli studi, l’azienda assorbiva comunque i miei pensieri, mi attirava sempre di più, allora ho capito che quella era la mia strada. In un certo senso è stato il lavoro che ha scelto me e io ho opposto poca resistenza!
In questi anni ho sperimentato vari ruoli e ancora oggi sono trasversale: questo mi permette di conoscere ogni aspetto aziendale e mi stimola continuamente.
Quello che ho scelto con determinazione è l’ambito in cui lavoro adesso, cioè il service e il noleggio, a diretto contatto con le necessità dei clienti. Il resto lo fanno la curiosità e il desiderio di fare sempre meglio: due aspetti che alimentano ogni giorno la passione per il mio lavoro.
Il lavoro la definisce, racconta o è solo uno dei suoi modi di essere?
Il lavoro mi racconta: il mio modo di lavorare non prescinde da quello che sono. Nel lavoro sono sempre pronta, cerco di pormi in atteggiamento risolutivo; ogni problema, ogni necessità deve essere risolta e gestita in modo efficiente, velocemente e – requisito fondamentale – con il sorriso sulle labbra. Questo racconta come sono anche fuori dall’attività lavorativa, con lo stesso approccio alla vita, con la stessa positività e determinazione. Con il tempo sta iniziando anche a definirmi e questo è dovuto all’acquisizione della consapevolezza su chi sono e cosa voglio realizzare.
Dovendo sceglierne una soltanto, quale determinazione ritiene sia la spinta che la muove?
«Procurate di lasciare il mondo un po’ migliore di come lo avete trovato». Questa citazione è sempre stata di grande ispirazione, intesa come spinta a “migliorare” sempre me stessa e ciò che mi circonda, l’azienda, il territorio in cui si trova e quindi, per osmosi, tutto il tessuto intorno. Potrebbe sembrare un pensiero ambizioso ma da piccoli gesti nascono grandi miglioramenti.
C’è un tema, un ambito, un interesse distante dal lavoro e dal suo quotidiano che la appassiona?
Nella mia vita ho sempre dedicato del tempo all’associazionismo perché credo profondamente nel valore educativo dello stare insieme perseguendo uno scopo, condividendo un valore. Mi piace essere parte attiva in vari contesti educativi, mettendo a disposizione le mie risorse e competenze.
L’arricchimento che ricevo da queste esperienze è immenso, mi aiutano a essere migliore, mi danno forza e ispirazione. In questo momento, oltre a far parte del direttivo del Comitato Femminile di Confindustria, collaboro con una ASD di Pallavolo femminile e con una cooperativa sociale che si occupa di inclusione di ragazzi con autismo; in passato sono stata una capo scout. Posso riassumere dicendo che mi piace mettermi al servizio, soprattutto dei giovani, per contribuire a creare un futuro il più accogliente possibile.
In che modo le sue idee e il suo impegno per la parità di genere hanno influenzato le scelte e le attitudini delle persone intorno a lei, sia nella vita privata che professionale?
Recentemente mi sono chiesta se per me fosse più importante influenzare le donne e spingerle a non arrendersi o gli uomini, aiutandoli ad abbattere convinzioni e luoghi comuni.
Lavorando in un ambito molto maschile, sono in contatto quasi esclusivamente con uomini. A chi mi chiede se sia facile, oggi rispondo orgogliosamente che la distinzione di genere non viene percepita o evidenziata. Non è sempre stato così. Ho dovuto faticare per dimostrare che in un rapporto lavorativo il genere non conta.
Ognuno cerca il raggiungimento del proprio risultato, al meglio delle sue possibilità. Tutto qui. Purtroppo non è così per tutti. C’è ancora molto da fare ma sono consapevole che i grandi cambiamenti debbano necessariamente passare dalla “normalizzazione” di ciò che ora è l’eccezione.
Che valore dà all’esperienza associativa e, in particolare, all’essere parte del Comitato Femminile Plurale di Confindustria Salerno?
L’esperienza nel Comitato mi ha stupita: ero certa che avrei incontrato donne e imprenditrici come me, ma non mi aspettavo di trovare tanta vitalità, dedizione e passione.
È stato semplice lasciarsi travolgere dall’energia di un gruppo che lavora senza sosta per creare progetti e opportunità per tutti. Spesso, noi imprenditori, uomini o donne, ci facciamo assorbire dalla nostra azienda, perdendo di vista aspetti che non sono marginali rischiando, al contempo, di compromettere anche il nostro equilibrio.
Il Comitato è uno spazio in cui ci ri-troviamo (proprio nel senso che troviamo nuovamente noi stesse) come imprenditrici ma anche come donne.
E in questo scambio continuo di esperienze e punti di vista diamo forma a progetti che parlano di noi ma sono al servizio di tutti. Immenso valore.