Nanomedicina e Nanotecnologie: le nuove frontiere

ernesto reverchonLa ricerca scientifica rappresenta uno dei settori trainanti dell’economia mondiale, e l’università è il vivaio più impor tante da cui nascono spesso le idee migliori. Attualmente, grande attenzione della comunità scientifica, ma anche delle aziende, è rivolta all’ambito della nanotecnologia e della nanomedicina

 

La nanomedicina è la branca della medicina che vuole utilizzare le nanotecnologie a scopi terapeutici, perfezionando terapie tradizionali e sviluppandone di nuove, più potenti e selettive. L’originalità nell’approccio scientifico alle problematiche affrontate è costituita dall’utilizzo dei fluidi supercritici, quali l’anidride carbonica. Il gruppo di ricerca di Fluidi Supercritici (FSC Group) che coordino presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale (DIIN) dell’Università di Salerno è specializzato nell’affrontare problemi industriali nel settore delle nanotecnologie, utilizzando approcci estremamente innovativi. È costituito da giovani e validi ricercatori, e ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti.

In particolare, nell’ultima classifica rilasciata dalla Top Italian Scientists (novembre 2015) mi è stato attribuito l’ottavo posto nella sezione Materials and Nano Sciences  (quinto posto tra gli scienziati del settore che lavorano in Italia). Un fluido supercritico è una sostanza impiegata a valori di temperatura e pressione superiori al suo punto critico, con proprietà ibride tra un liquido e un gas. Ad esempio, si comporta come i liquidi per quanto riguarda gli alti valori di densità, e come i gas per gli alti valori di diffusività e la bassa viscosità. Abbiamo sviluppato vari processi innovativi.

Ad esempio, sono state ottenute nanoparticelle di prodotti farmaceutici, tra cui antibiotici ad accresciuta attività biologica rispetto alle normali particelle a livello micrometrico. Inoltre, sono stati messi a punto sistemi “polimero+principio attivo” in cui il polimero veicola e protegge il farmaco (in esso disperso a livello nanometrico) da fenomeni degradativi durante la somministrazione, consentendo anche un aumento della biodisponibilità nel corpo umano.

 

È stato inoltre sviluppato un nuovo processo per la produzione di liposomi, ovvero vescicole costituite da un nucleo acquoso interno e da un doppio strato di fosfolipidi esterno, in cui è possibile incapsulare farmaci di natura idrofila o lipofila.
I liposomi di dimensioni nanometriche (nanosomi) sono molto simili alle membrane cellulari, motivo per cui la veicolazione dei principi attivi avviene con un meccanismo naturale, che li rende capaci di trasportare il farmaco direttamente all’interno delle cellule bersaglio.

Fra l’altro, è anche possibile ingegnerizzare la superficie dei nanosomi, programmandola biochimicamente per far sì che riconoscano il tessuto specifico da trattare. I metodi tradizionali di produzione dei liposomi presentano molte problematiche, quali la bassa riproducibilità, basse efficienze di incapsulamento di composti idrofili, difficile controllo della granulometria e difficile separazione del solvente.

Il processo da noi sviluppato, invece, propone di invertire le fasi di produzione tradizionalmente seguite, producendo dapprima le gocce d’acqua e poi consentendo ai lipidi di ricoprirle. L’idea alla base è estremamente innovativa ed efficace: abbiamo incapsulato composti idrofili fino al 98%, in liposomi di dimensioni dai 100 ai 300 nm, adatti alla veicolazione nei tessuti.

Una parte del gruppo di ricerca di Fluidi Supercritici ha anche sviluppato strutture polimeriche (dette scaffold) nanostrutturate, perché formate da un reticolo di nanofilamenti del tutto simile alla morfologia dei tessuti umani.

Quando in queste strutture vengono caricate cellule staminali umane, queste utilizzano i nanofilamenti sottostanti per orientarsi, riprodursi e differenziarsi secondo quanto richiesto per creare il tessuto da rigenerare. Questi materiali degradano lentamente, mentre le cellule staminali producono exnovo un tessuto vivente.

Il risultato finale sarà la formazione di parti di organi come ossa, tendini e vasi sanguigni identici a quelli del paziente, che sarà anche donatore delle cellule stesse. Questi sistemi non daranno problemi di rigetto e/o usura, come avviene con le normali protesi sintetiche.

L’Università degli Studi di Salerno, in particolare il professor Nicola Maffulli, Direttore del Dipartimento dell’Apparato Locomotore dell’Azienda Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona, si sta attrezzando per sviluppare le metodiche cliniche per l’utilizzo degli scaffold in applicazioni terapeutiche, nell’ambito dello sviluppo di studi combinati in medicina traslazionale.

 

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