L’affitto d’azienda nella gestione della crisi d’impresa

Una soluzione che può consentire una gestione “ponte” in vista della presentazione di una proposta di concordato preventivo da parte della società concedente o di un accordo di ristrutturazione dei debiti

 

L’affitto di azienda non è disciplinato in maniera articolata e puntuale dal codice civile che si limita, all’articolo 2562, a richiamare le disposizioni dettate in tema di usufrutto di azienda. Nella prassi, tuttavia, si utilizza spesso questo contratto perché consente all’imprenditore di concedere in gestione la propria azienda legittimandolo comunque a rientrarne in possesso al momento della cessazione del contratto. Il contratto di affitto di azienda assume una particolare utilità nel superamento di situazioni di crisi aziendale in quanto può essere stipulato dall’imprenditore in difficoltà nell’ambito di un programma diretto a lasciare i debiti in capo alla società concedente e a consentire la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte di una società affittuaria. Tale finalità, se perseguita in maniera corretta e trasparente, anche mediante la determinazione di un canone adeguato, può consentire una gestione “ponte” in vista della presentazione di una proposta di concordato preventivo da parte della società concedente o di un accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182 bis o comunque di soluzioni transattive volte a ridurre l’indebitamento della società concedente, evitando soluzioni di continuità nello svolgimento dell’attività d’impresa. Con specifico riferimento al concordato preventivo con continuità aziendale (art. 186 bis l. fall.) è controverso se l’affitto di azienda possa essere strumentale alla continuazione dell’attività, anche se in via indiretta, dell’impresa proponente il concordato.

Com’è noto l’istituto del concordato preventivo in continuità è ammissibile in presenza di un piano che preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa, o da parte dello stesso debitore oppure da parte di un cessionario o di un conferitario dell’azienda. 

É necessario in particolare che concorrano due diverse circostanze oggettive: 1) il piano dev’essere esplicito nel contemplare la continuità d’impresa e l’attestazione che lo accompagna deve precisare che tale continuazione è funzionale al migliore soddisfacimento dei creditori; 2) il proponente deve esplicitare espressamente nella domanda l’intento della continuità. Secondo quando dispone l’art. 186 bis l. fall. la continuazione può avvenire ad opera dello stesso debitore oppure da parte di un terzo che si renda cessionario o conferitario dell’azienda. Ora il problema che si pone è quello di stabilire se sia ammissibile un concordato con continuità in cui l’azienda del proponente anziché essere ceduta o conferita in un’altra società venga semplicemente affittata ad un altro imprenditore. Secondo la tesi prevalente sarebbe da escludere l’ammissibilità del concordato con continuità nel caso in cui, pur in presenza di una prosecuzione dell’attività di impresa, la proprietà dell’azienda rimanga, in via definitiva, in capo al debitore concedente.
Questa tesi si fonda in particolare sul disposto dell’art. 186 bis lett. a) l. fall. secondo cui il piano deve contenere una analitica indicazione di costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività di impresa, delle risorse finanziarie e delle relative modalità di copertura: tale previsione non avrebbe ragion d’essere nel caso di affitto dell’intera azienda in quanto tali dati risulterebbero inesistenti, rilevando solo la misura del canone di affitto. Anche la previsione di cui alle lettera b) dello stesso articolo nel prevedere che l’attestazione debba prevedere che la prosecuzione dell’attività è funzionale alla migliore soddisfazione dei creditori risulterebbe priva di rilievo, rilevando semplicemente il canone proveniente dall’affitto. É stato inoltre precisato che la soluzione dell’affitto di azienda in tanto potrebbe ritenersi compatibile con l’istituto del concordato con continuità in quanto tale contratto si inserisca in un piano che preveda che l’affitto in corso di procedura sia strumentale ad una successiva cessione e cioè preveda che all’affitto faccia poi seguito, condizionatamente all’omologa, la cessione, a titolo definitivo dell’azienda.
Orbene, occorre innanzitutto distinguere l’affitto d’azienda fine a se stesso da quello prodromico al trasferimento dell’azienda o di un suo ramo.
Quanto poi all’ipotesi di affitto propedeutico alla cessione si deve distinguere a seconda che la stipulazione del relativo contratto costituisca un elemento del piano concordatario o che essa invece si sia già verificata in epoca anteriore al deposito del ricorso ex art. 161 l. fall.. La prima ipotesi è ritenuta compatibile con il concordato in continuità purché l’affittuario si obblighi irrevocabilmente all’acquisto. In tal caso dipendendo la fattibilità del piano dalla regolarità dei pagamenti, sia di quelli relativi al canone, sia di quello relativo al prezzo finale di acquisto, l’attestazione del piano deve precisare l’idoneità dell’affittuario – promissario acquirente a far fronte alle obbligazioni assunte con il contratto solo grazie al patrimonio di cui dispone e alle garanzie eventualmente assunte, ma opportunamente anche in virtù di un adeguato piano industriale.
Per l’ipotesi invece di contratto di affitto già stipulato in data anteriore alla presentazione della domanda di concordato, l’eventuale incompatibilità con la continuazione dell’attività d’impresa potrà evitarsi prevedendo l’affitto non dell’intera azienda ma soltanto di un suo ramo.
Ad avviso dello scrivente le interpretazioni giurisprudenziali e dottrinali dovrebbero essere più aperte ad ammettere un’ampia utilizzabilità del contratto di affitto anche nel concordato con continuità in quanto la realtà dimostra che spesso la stipulazione di un contratto di affitto, se correttamente strutturato, attraverso il trasferimento ad un terzo della gestione dell’impresa consente una continuità nell’attività d’impresa non altrimenti perseguibile. Ciò che dovrebbe assumere rilevanza è pertanto la circostanza che l’azienda sia in esercizio con tutto ciò che questo comporta sotto il profilo del mantenimento dei rapporti di lavoro e del patrimonio aziendale.