Italia: il link sul Mediterraneo che non funziona ancora

ely szajkowiczL’incontro di Lisbona del 21 maggio ha scelto un taglio operativo e imprenditoriale per occuparsi di sviluppo sostenibile. La lista dei partecipanti è fitta di nomi della Sponda Sud e Nord dell’Europa: sono pochi quelli italiani.
Ci sembra allora che non solo alla politica, ma anche a gran parte delle imprese italiane stia ancora sfuggendo che vendere all’estero il prodotto finale della catena produttiva non è condizione sufficiente per internazionalizzarsi in maniera durevole

Ci risiamo. Con lo stesso assordante silenzio che ha avvolto, almeno sui giornali italiani, il Primo Forum Economico del Mediterraneo occidentale svoltosi a Barcellona nell’ottobre 2013, così oggi in Italia non si parla della seconda edizione a Lisbona dal 21 maggio 2014, in occasione della Conferenza dei Ministri degli Esteri del Dialogo 5+5 (cinque paesi del Sud Europa e cinque del Nord Africa). Ciò anche alla vigilia delle elezioni europee e del bagaglio di disaffezione, se non di mera incomprensione, verso l’azione dell’Unione Europea che queste elezioni si portano dietro. Certo, «l’Europa ha perso la capacità di farci sognare”, ripete spesso l’attuale Ambasciatore del Marocco nel nostro Paese. E forse questa capacità l’ha persa anche l’Italia, che non riesce a dare risposte al suo esercito di disoccupati, giovani e meno giovani. Mentre invece in Marocco il Ministro dell’Industria Elalamy ha lanciato un nuovo Piano di sviluppo industriale 2020 che punta a far crescere il suo Paese incentivando 500.000 posti di lavoro e lo sviluppo di alcuni settori chiave.

Elalamy non è un politico di professione ma un imprenditore di successo, che è stato anche Presidente della CGEM, la consorella marocchina di Confindustria. Insieme a lui, gli altri due motori della crescita economica sudmediterranea sono le presidenti della CGEM e dell’UTICA (la “Confindustria” della Tunisia) Meriem Bensalah e Wided Bouchmaoui, due donne che fanno parte del Gotha delle cento personalità più influenti dell’intero continente africano.

É proprio la CGEM che, a margine del primo Forum Economico del Mediterraneo occidentale di Barcellona, si è fatta promotore di una nuova iniziativa imprenditoriale con cui le Associazioni industriali dei Paesi maghrebini hanno concordato la creazione dell’Unione per il Commercio e gli Investimenti del Maghreb, in sigla UMCI, per promuovere la creazione di occupazione e la crescita economica nei cinque Paesi della regione sud mediterranea e sviluppare il commercio intra-Maghreb, poi effettivamente lanciata a Marrakech nel febbraio 2014, capofila ancora una volta la CGEM.

Una vera e propria rete imprenditoriale per gli affari, dunque, che per la prima volta associa anche Paesi come Libia e Mauritania, che non hanno partecipato al processo di integrazione regionale promosso con approccio top-down dall’Europa nel lontano 1995 e che, con il pragmatismo di chi fa impresa, gli imprenditori sudmediterranei stanno costruendosi da soli.

L’incontro di Lisbona del 21 maggio ha scelto un taglio operativo e imprenditoriale per occuparsi di sviluppo sostenibile, strutturato attorno ai pilastri strategici di acqua e ambiente, infrastrutture e finanziamento dei progetti, in una esplicita ottica di opportunità per le imprese, per identificare iniziative congiunte, specie per energia, gestione delle acque, tecnologie ambientali, agricoltura, risorse marine, mobilità e turismo, smart cities, ecc.). Sostanzialmente, quindi, si tratta di temi in gran parte analoghi a quelli di Milano Expo 2015. La lista dei partecipanti è fitta di nomi della Sponda Sud e Nord dell’Europa: sono pochi quelli italiani.

 

Ci sembra allora che non solo alla politica, ma anche a gran parte delle imprese italiane stia ancora sfuggendo che vendere all’estero il prodotto finale della catena produttiva non è condizione sufficiente per internazionalizzarsi in maniera durevole. Oltre all’export, i mercati del Mediterraneo, soprattutto quelli della Sponda Sud, guardano al nostro Paese per creare sviluppo sul territorio, attraverso investimenti e trasferimento di know-how. Non solo: è una partita a tre quella che si sta giocando nel Mediterraneo, in cui insieme ai paesi della Sponda Nord europea e al Nord Africa, il terzo player sono i paesi del Golfo. La Storia ci ha riservato una coincidenza difficilmente ripetibile, e cioè quella con un anno in cui la presidenza dell’Unione Europea spetta, grazie all’alfabeto, a due Paesi mediterranei, la Grecia fino a fine giugno e l’Italia nel secondo semestre e anche questo non succederà più per molti anni.

Gli euroscettici stanno già affermando che quella italiana sarà una presidenza di transizione. Può darsi. Sei mesi sono indubbiamente pochi per la macchina amministrativa europea, ormai divorata dalla “mission creep”, il fenomeno di continua espansione dei compiti che avviene per la nota realtà secondo la quale le burocrazie tendono naturalmente ad espandersi e a dimenticare il loro obiettivo. Ma proprio per questo «occorre una nuova strumentazione europea che punti al co-sviluppo con i Paesi del Mediterraneo”, come ha dichiarato il Presidente di Confindustria Assafrica & Mediterraneo, Fausto Aquino consegnando al Sottosegretario alle Politiche Europee e al coordinamento delle attività inerenti il Semestre di presidenza Italiana il Position Paper di Confindustria Assafrica & Mediterraneo. Uno snello documento di lavoro che indica alcune aree di intervento che l’Associazione ritiene vitali per le imprese che già lavorano o vogliono lavorare nell’area.

 

«Oggi i rapporti tra Italia e Mediterraneo vengono percepiti dall’opinione pubblica in chiave quasi esclusivamente negativa. Continuiamo ad affrontare il tema come una somma di problemi da gestire, dalla governance dell’immigrazione al controllo delle coste, dallo scontro tra culture ed etnie alle questioni energetiche. Rimangono troppo spesso nell’ombra, invece, le grandi opportunità che il bacino del Mediterraneo e la centralità dell’Italia al suo interno offriranno nei prossimi anni al nostro sistema produttivo».

 

Considerazioni del 2014? Sbagliato: lo disse nel 2005 il Presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria dell’epoca ad un Convegno di Capri. Adesso è in politica. Ma la visione imprenditoriale è sempre la stessa. E, oggi come allora, l’Italia non è ancora una porta, un ponte o una piattaforma sul Mediterraneo. E dalla sponda sudmediterranea guardano sempre più anche altrove. Meditiamo. E agiamo.