Il consumo di pesce: la lezione della storia

giuseppe fatati

Dal passato illuminanti abitudini alimentari ecosostenibili specie in relazione alla scelta del pescato non solo di mare ma anche di fiume e di lago

Il consumo del pesce fresco – considerato aspetto peculiare dell’alimentazione mediterranea -sembra, al contrario, una caratteristica che non ha coinvolto il popolo italiano per lunghi secoli. É vero che il pesce di mare è tipico della cucina ricca di Roma antica ma nel Medioevo, e fino alla metà del ventesimo secolo, tende a continentalizzarsi e quello di acqua dolce dei fiumi, dei laghi delle paludi trova grande valorizzazione. Si assiste a tale fenomeno in modo generalizzato tanto che i pescatori anche nelle zone di mare hanno preferito per diversi secoli operare nelle acque interne.  

 

Per tutto il Medioevo il pesce più ricercato era l’anguilla, sia in Francia che in Italia. Lo storione era considerato un pesce nobile tanto da essere riservato, in Inghilterra, solo alla tavola del re. In Italia, il Po era ricco di grandi storioni, probabilmente ladani che al tempo potevano raggiungere anche la lunghezza di 9 metri.
Molto pregiati erano anche la lampreda, il salmone e il luccio. Infine non mancavano trote, dentici, capitoni, tinche, lasche, ghiozzi, barbi e carpe, quest’ultime particolarmente feconde e quindi prescelte per il popolamento da vivaio.

Data la grande presenza di paludi e di stagni, oltre ai pesci, gli uomini si cibavano anche di rane: particolarmente rinomate, a questo proposito, erano quelle delle paludi padovane. Certamente poi non potevano mancare molluschi, crostacei, polpi, seppie, aragoste e in particolare gamberi, più volte presenti nei contratti. Martino IV, 189° papa della Chiesa cattolica è ricordato da Dante nel canto XXIV del Purgatorio che lo pone nella sesta cornice, tra le anime dei golosi, a causa della sua famosa passione per le anguille del lago di Bolsena e per la Vernaccia di San Gimignano. Monsignor Baldassarre Pisanelli scrivendo il trattato De Cibi nel 1589 dedica un capitolo ai pesci d’acqua dolce iniziando con una appassionata lode del carpione del Lago Benaco, cioè lago di Garda e della trutta, la nostra trota, che nutrisce ottimamente, si digerisce presto, rinfresca il fegato e il sangue e però è buona nelle febbri ardenti.
Nel Medioevo ogni monastero aveva la sua roggia e il suo stagno, appannaggio del Priore, in cui si allevavano tinche, carpe, anguille e lamprede. L’attentato terroristico dei brigatisti ghibellini di allora consisteva nel gettare nottetempo i lucci nello stagno del convento con conseguente strage dei poveri pesci destinati alla mensa abbaziale.

La vera rivoluzione alimentare italiana si ha nel decennio 1951-1961; è impressionante notare come aumentino tutti i consumi: la carne passa da 14,8 a 25, 9 Kg pro capite/anno, la frutta da 16,6 a 61, 5 Kg e le verdure da 36,5 a 112,7 Kg. Il consumo del pesce che era solo di 2.9 Kg sale a 7.2 Kg pro capite/anno. In questo periodo il boom del pesce come pietanza esclusiva è una conseguenza diretta del turismo diffuso, spesso unicamente balneare. Solo alla fine del secolo scorso si afferma il ruolo salutistico.

La storia, dunque, ci dice anche che le acque dei fiumi e dei laghi sono state una risorsa importante che l’uomo ha cercato di utilizzare al meglio a proprio vantaggio. E da sempre c’è stato un forte connubio tra acqua e religione. Se consideriamo la Valnerina, una delle Vali più ricche di acque, ci accorgiamo che la bonifica della zona fu realizzata dai monaci siriaci, nel Medioevo, che introdussero anche il sistema delle marcite nella Valle del Sordo.

 

Il problema della sostenibilità dell’alimentazione e dell’ecosistema era già presente e veniva risolto grazie a leggi precise che regolamentavano la pesca e anche la vendita del pesce. Proprio nei monasteri e in riva ai laghi si assisteva alla messa in pratica di quei sistemi integrati che ancora oggi sono obiettivi difficilmente realizzabili. I laghi, ma anche i piccoli stagni interni, rappresentavano l’acquacultura dell’epoca ma servivano anche per irrigare gli orti limitrofi e le acque dei torrenti e dei fiumi fornivano energia per mulini e frantoi. Per terminare ci sentiamo di affermare che la tanto decantata dieta mediterranea dovrebbe ricordarsi anche dei prodotti dei fiumi e dei laghi e soprattutto delle proprie origini.