Fusione tra società e opposizione dei creditori

maurizio galardoUn elemento centrale della fusione è il rapporto di cambio delle azioni o quote, disciplinato con riguardo sia al progetto di fusione, di cui costituisce elemento essenziale (art. 2501 ter), sia alla relazione degli esperti che deve esplicitare i metodi seguiti per la determinazione dello stesso e i valori risultanti dall’applicazione di ciascuno di essi

La disciplina societaria in tema di fusione tra società contiene all’art. 2503 del c.c. una disposizione specifica che consente ai creditori di proporre opposizione alla stessa.

Si tratta di un istituto che costituisce uno strumento di tutela dei creditori, in quanto tale opposizione, salvo specifiche eccezioni, impedisce di attuare la fusione finché non sia decorso un termine di 60 giorni; inoltre nel caso in cui tale opposizione sia effettivamente proposta non si potrà procedere alla fusione, sempre salvo le eccezioni specifiche di cui si dirà in seguito, finchè non sia intervenuta una decisione giudiziale in merito alla fusione stessa.

Com’è noto la fusione rappresenta un’operazione societaria straordinaria alla quale concorrono soggetti con competenze diverse e tra loro complementari.

L’impulso all’operazione viene dato inizialmente dagli amministratori, successivamente vi è l’intervento di professionisti esperti, poi dei soci, e solo alla fine di questo complesso procedimento il notaio procederà alla stipula dell’atto di fusione.

L’organo amministrativo delle società partecipanti alla fusione procede dunque alla predisposizione del progetto di fusione (art. 2501 ter cod. civ.) il quale deve contenere gli elementi previsti da questa norma. Successivamente la decisione in merito alla fusione è assunta da ciascuna delle società partecipanti alla stessa, mediante l’approvazione del progetto (art. 2502 comma 2 cod. civ.).

La deliberazione di fusione dev’essere poi pubblicata mediante il deposito del registro delle imprese (art. 2502 bis c.c.) cosicché i creditori possano venire a conoscenza dell’esistenza del procedimento di fusione e avere la possibilità di proporre opposizione.
Dunque la fusione può essere attuata solo dopo di 60 giorni dall’ultima delle iscrizioni previste dall’art. 2502 bis (art. 2503 comma 1 c.c.).

Il termine di 60 giorni per proporre opposizione è ridotto a 30 nel caso in cui alla fusione partecipino società diverse da quelle con capitale rappresentato da azioni (art. 2505 quater).

Inoltre, nel caso in cui la fusione avvenga tra istituti bancari, si può fare opposizione entro 15 giorni (art. 57 comma 3 D.lgs. 385/1993).
La legge dispone che durante la pendenza del termine di 60 giorni, o quello più breve previsto dalle altre disposizioni specifiche esaminate, la fusione non possa essere attuata.

Un elemento centrale della fusione è il rapporto di cambio delle azioni o quote, disciplinato con riguardo sia al progetto di fusione, di cui costituisce elemento essenziale (art. 2501 ter), sia alla relazione degli esperti che deve esplicitare i metodi seguiti per la determinazione dello stesso e i valori risultanti dall’applicazione di ciascuno di essi.

Il rapporto di cambio specifica in che misura i soci delle società fuse parteciperanno al capitale della società risultante dalla fusione. Esso presuppone la corretta valutazione delle due società. Se una società è sopravvalutata rispetto all’altra, il rapporto di cambio risulta incongruo a vantaggio dei soci della prima società. Il rapporto di cambio incongruo determina una perdita netta in capo alla società che viene erroneamente sottovalutata. La giurisprudenza evidenzia che la non congruità del rapporto di cambio è la principale causa di contenzioso in tema di fusione. La misura della partecipazione alla società incorporante o a quella risultante dalla fusione dipenderà dal rapporto di cambio; pertanto per la centralità che tale elemento assume nella fusione, la congruità del rapporto di cambio e i relativi metodi di valutazione dovranno essere oggetto specifico della relazione degli esperti (art. 2501 sexies).

La legge prevede che la fusione possa essere attuata prima dei 60 giorni previsti al ricorrere delle seguenti condizioni, anche alternative: a) nel caso in cui risulti il consenso dei creditori delle società che vi partecipano anteriori all’iscrizione o alla pubblicazione prevista dal terzo comma dell’art. 2501 ter; b) oppure risulti il pagamento dei creditori che non hanno prestato il loro consenso; c) oppure il deposito delle somme corrispondenti presso una banca; d) nel caso in cui la relazione di cui all’art. 2501 sexies sia redatta per tutte le società partecipanti alla fusione da un’unica società di revisione la quale asseveri che la situazione patrimoniale e finanziaria delle società partecipanti alla fusione rende non necessarie le garanzie a tutela dei creditori. Naturalmente nel caso in cui la relazione degli esperti non corrisponda a verità, questi saranno tenuti a risarcire il danno subito dai creditori.

Se non ricorre alcuna di queste eccezioni i creditori potranno nel termine di 60 giorni, o in quello minore, fare opposizione.

Un’ulteriore garanzia per i creditori, nel caso di fusione tra società a responsabilità illimitata, è data dal permanere della responsabilità di questi ultimi per le obbligazioni sociali delle rispettive società sorte anteriormente all’ultima delle iscrizioni prescritte dall’art. 2504 bis.

L’opposizione va proposta dai creditori dinnanzi all’autorità giudiziaria nella forma di un procedimento di cognizione di natura contenziosa.

L’opposizione paralizza l’operazione di fusione nel suo complesso, e non solo con riguardo al creditore opponente, fino a quando non si giunga ad una decisione definitiva sulla stessa. Vi sono tuttavia due casi in cui in cui è consentito che l’operazione di fusione abbia luogo nonostante l’opposizione dei creditori. Il primo si verifica quando il tribunale ritenga infondato il pericolo del pregiudizio. Il creditore opponente dovrà cercare di dimostrare che la società risultante dalla fusione non dispone di risorse sufficienti per garantire il pagamento del suo credito. Alla società resistente è però concesso di provare il contrario.

 

Spetta al giudice la decisione definitiva in merito.

 

La seconda ipotesi, invece, si verifica quando la società ha prestato un’idonea garanzia.