CARTABELLOTTA, GIMBE: «IL SSN PILASTRO DELLA NOSTRA DEMOCRAZIA»

Per rilanciare un servizio sanitario pubblico, oggi equo e universalistico solo sulla carta, bisogna rivedere le modalità di finanziamento, programmazione, organizzazione e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari

 

Presidente, mentre l’Europa scommette sul mettere insieme le potenzialità dei differenti paesi, nel nostro torna in agenda l’autonomia differenziata. Quali potrebbero essere gli impatti sul mondo della sanità?

Concedere alle Regioni maggiori autonomie in materia di “tutela della salute” darà il colpo di grazia al Servizio Sanitario Nazionale. Aumenteranno le diseguaglianze regionali, legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud e violando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute. Infatti, nonostante i livelli essenziali di assistenza (LEA) siano definiti dal 2001 e monitorati ogni anno dallo Stato, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i diversi sistemi sanitari regionali.
Peraltro, le Regioni che hanno già sottoscritto i pre-accordi (Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto) sono proprio quelle che erogano i migliori servizi sanitari e hanno maggiore capacità attrattiva sui pazienti del centro-sud, alimentando il fenomeno della “migrazione sanitaria”.

Nel vostro recente report vengono sottolineate le disuguaglianze regionali in sanità tenuto conto dei Lea (livelli essenziali di assistenza). Qual è la fotografia attuale e a cosa servono? Garantiscono ad oggi l’universalità delle cure?

Ogni anno il Ministero della Salute valuta l’erogazione dei LEA che le Regioni devono garantire ai cittadini gratuitamente o attraverso il pagamento di un ticket. Il Report GIMBE sugli adempimenti nell’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza nel decennio 2010-2019 dimostra che nella prima metà della classifica si posizionano solo due Regioni del centro (Umbria e Marche) e nessuna Regione del Sud, a riprova dell’esistenza di una “questione meridionale” in sanità. Anche la successiva analisi GIMBE delle nuove “pagelle” relative al 2020, ovvero nel corso della pandemia, non vede nessuna regione del meridione ai vertici (ad eccezione della Puglia che si trova tra le 11 Regioni adempienti) dimostrando innanzitutto che il gap Nord-Sud non si è ridotto nonostante molte Regioni del Nord siano state colpite in maniera drammatica dalla prima ondata e, al tempo stesso, quelle del Sud siano state risparmiate grazie al lockdown; in secondo luogo, le Regioni settentrionali più colpite dalla pandemia hanno mostrato una differente resilienza, inevitabilmente condizionata dalla qualità del servizio sanitario regionale pre-pandemia; infine, la “sorella povera” della sanità, ovvero la prevenzione, è stata quella che ha pagato il conto più salato, in termini di erogazione di prestazioni essenziali.

Ma a cosa, o a chi, sono imputabili le drammatiche differenze tra servizi sanitari regionali? È un problema di sole risorse o anche di capacità amministrativa?

Le Regioni del Centro-Sud, dopo la riforma del Titolo V del 2001, non sono state in grado di organizzare adeguatamente i propri servizi sanitari, generando al tempo stesso enormi buchi nei propri bilanci. Di conseguenza, fatta eccezione per la Basilicata, tutte le Regioni del Centro-Sud sono finite in Piano di Rientro (e la maggior parte non sono ancora uscite) o addirittura commissariate (ad oggi lo sono Molise e Calabria). D’altronde, le nostre analisi indipendenti documentano la grave crisi di sostenibilità del SSN ben prima dello scoppio della pandemia. L’imponente definanziamento pubblico di circa 37 miliardi di euro nel decennio 2010-2019; l’incompiuta del DPCM sui nuovi LEA che aveva ampliato prestazioni e servizi a carico del SSN senza copertura finanziaria; gli sprechi e le inefficienze; l’espansione incontrollata delle assicurazioni. Oltre alla non sempre leale collaborazione Stato-Regioni e alle aspettative spesso irrealistiche di cittadini e pazienti. In questo contesto la pandemia COVID-19 ha confermato il cagionevole “stato di salute del SSN” e se nel pieno dell’emergenza tutte le forze politiche convergevano sulla necessità di potenziare e rilanciare il SSN, progressivamente la sanità è stata nuovamente messa all’angolo.

Intanto nel Paese è in atto da tempo quella che da più parti è stata definita la “desertificazione sanitaria”. Nel vostro report emerge chiaro il rischio che, oltre alla fuga da Sud a Nord per farsi curare, migliori condizioni lavorative potrebbero essere la sirena seduttiva per moltissimi giovani – specialisti e non – del Mezzogiorno. Nei fatti cosa potrebbe accadere?

La questione delle condizioni di lavoro del personale sanitario riguarda tutta l’Italia. Pensionamenti anticipati, burnout e demotivazione, licenziamenti volontari e fuga verso il privato lasciano sempre più scoperti settori chiave del SSN, in particolare i Pronto Soccorso, e deserti i numerosi concorsi. Per far fronte alla domanda di personale si ricorre così a insolite modalità: cooperative di servizi, reclutamento di medici in pensione e chiamate di medici dall’estero. Considerato che i consistenti investimenti per nuovi specialisti e medici di famiglia daranno i loro frutti non prima rispettivamente di 5 e 3 anni, il nodo del personale sanitario è entrato nella sua fase più critica che richiede soluzioni straordinarie in tempi brevi. Tuttavia, tornando all’autonomia differenziata, la richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del SSN, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, effettivamente rischia di concretizzare una concorrenza tra Regioni con “migrazione” di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sul ruolo dei sindacati

Non solo rilievi ma anche proposte: quali riforme e azioni per la Fondazione GIMBE sarebbero indispensabili a garantire il diritto costituzionale alla tutela della salute a tutte le persone?

La politica deve saper cogliere le grandi opportunità per rilanciare il SSN: fine della stagione dei tagli alla sanità, PNRR, trasformazione digitale, approccio One Health. Se vogliamo rilanciare un servizio sanitario pubblico, oggi equo e universalistico solo sulla carta, bisogna rivedere le modalità di finanziamento, programmazione, organizzazione e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari.

Ma questo richiede un piano pluriennale di rifinanziamento della sanità pubblica e coraggiose riforme “di rottura”. Ma ancor prima, un patto politico che, prescindendo da ideologie partitiche e avvicendamenti di Governi, metta al centro il SSN nella consapevolezza che rappresenta un pilastro della nostra democrazia e la più importante conquista sociale.