Aziende familiari, la riorganizzazione dell’azionariato tramite conferimento

La stabilità della governance va affrontata prima che subentrino le generazioni successive, senza attendere salti generazionali che potrebbero generare conflitti

Nell’ambito di società o gruppi di imprese a connotazione familiare la stabilità dell’azionariato nel tempo è un tema fondamentale, ma purtroppo abbastanza trascurato.
Questa frequente “dimenticanza” generalmente si riconduce alla volontà di non creare situazioni di conflitto endofamiliari, a loro volta foriere di battaglie legali il cui unico esito è la perdita di valore dell’impresa, e alla preoccupazione che operazioni di riaggregazione possano generare contestazioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

L’immobilismo societario che di solito consegue a questa, anche comprensibile, trascuratezza porta però al contrario effetto che, con il subentro delle generazioni successive, la frammentazione azionaria finisce per amplificarsi con decine di soci che, spesso, non hanno tra loro alcuna condivisione o legame economico o imprenditoriale, ma solo quello di parentela.

Ed in tali circostanze, pur nella perfetta buona fede di tutti i soggetti, è altamente probabile si verifichino conflitti, anche perché il distanziamento del legame familiare certamente fa calare la disponibilità a un compromesso. Per cui, si può concludere che il non scegliere per evitare conflitti nel breve, paradossalmente, genera conflitti maggiori dopo.

Sotto il profilo della fiscalità, invece, le preoccupazioni per una eventuale censurabilità di operazioni di riaggregazione devono ritenersi, in linea di principio, ormai tutte fugate dall’Agenzia delle Entrate.
Si ricorda che l’abuso del diritto, ai sensi dello Statuto del Contribuente, si manifesta nelle situazioni in cui vengono poste in essere operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano sostanzialmente vantaggi fiscali indebiti.

La possibilità di ottenere un vantaggio fiscale indebito, ovviamente, è insita anche nelle operazioni straordinarie societarie, le quali potrebbero essere ritenute elusive, nel caso in cui risultino prive di effettiva motivazione non fiscale.
Per evitare che ciò avvenga, l’operazione straordinaria che si vuole realizzare si deve basare su motivazioni extrafiscali solide e tra queste, rientrano certamente le riorganizzazioni societarie, finalizzate ad una migliore gestione dell’impresa.

Quando queste ragioni esistono e sono genuine, il rischio fiscale è di fatto, inesistente. Ancor più se sulla prospettata operazione vi sia stato l’assenso dell’Agenzia delle Entrate. Entrando nel merito della riorganizzazione di un azionariato diffuso, è evidente che lo strumento societario più adeguato a realizzarla (scissione, fusione, scorporo, conferimento, ecc.) dipende dalla fattispecie specifica, dagli accordi che raggiungono i soci e così via, ma si può ritenere, anche per esperienza, che non esista riorganizzazione che non possa essere realizzata in un contesto di buona fede.

Nell’ambito delle molteplici possibilità di realizzo, vale la pena analizzare il conferimento in neutralità indotta o controllata art. 177 comma 2 TUIR, di recente nuovamente assentito dalla Agenzia delle Entrate nella risposta all’istanza di interpello n. 170/2020. Il caso è interessante perché si inserisce proprio nell’alveo della deframmentazione dell’azionariato.

In sintesi, l’operazione ipotizzata è stata un plurimo conferimento di partecipazioni minoritarie di una società operativa, detenute da singole persone fisiche, in una società di capitali di nuova costituzione che, per effetto di tale conferimento, acquisisce la maggioranza della società oggetto di conferimento.
La motivazione economica a sostegno dell’operazione è stata proprio la riduzione della frammentazione azionaria della società operativa, assicurandone una stabile maggioranza e un’unità di indirizzo e di governo imprenditoriale.

Così strutturato, il conferimento plurimo simultaneo può beneficiare delle disposizioni dell’art. 177, comma 2 citato, che – nel caso sia trasferito il controllo – derogano al principio del rispetto del valore di mercato nel conferimento di partecipazioni (art.9 TUIR) e prevedono che il valore fiscale di ciascun conferimento sia pari al costo sostenuto all’atto dell’acquisto o della sottoscrizione della partecipazione conferita, oppure a quello rideterminato in caso di rivalutazioni legali.

In buona sostanza, questa norma evita l’assoggettamento a tassazione in capo al socio dell’intera plusvalenza derivante dalla differenza (positiva) tra il valore di mercato della partecipazione oggetto di conferimento e il suo costo fiscale.
Per beneficiare di tale agevolazione, dal punto di vista contabile, la Holding conferitaria deve però procedere ad aumenti di capitale più eventuale sopraprezzo non superiori ai costi fiscali delle partecipazioni ricevute, modulando in modo appropriato la quota parte da destinare a fondo sopraprezzo, al fine di rispettare in proporzione le quote di partecipazione detenute da ciascuno dei conferenti nella società operativa.

Pertanto, con tale conferimento, non emerge alcuna plusvalenza per i soci conferenti, qualora il valore di iscrizione della partecipazione e l’incremento di patrimonio netto effettuato dalla conferitaria risultino pari all’ultimo valore fiscale, presso il socio conferente, delle partecipazioni conferite.
Del pari, la conferitaria deve iscriversi le partecipazioni conferite al valore contabile di conferimento e tale valore iscrizione è fiscalmente riconosciuto anche ai fini di eventuali vendite future.

Sotto il profilo della ratio legis, il legislatore, attraverso l’art. 177, co.2 del TUIR, ha voluto rimarcare che uno scambio di partecipazioni con passaggio di controllo non può essere considerato come un evento realizzativo ai fini fiscali, bensì come un mero processo riorganizzativo degli assetti proprietari e della gestione di una società o di un gruppo e, pertanto, alle condizioni sopra indicate, non può generare reddito per i partecipanti.

Pertanto, in considerazione del fatto che i rischi fiscali sulle riorganizzazioni societarie genuine sono nei fatti inesistenti, affrontare tale tema con tempestività e senza attendere salti generazionali è quanto meno prudente.