Prestiti per pensionati: quali sono i limiti?

I pensionati rappresentano una categoria di grande interesse per il sistema creditizio italiano. 

Le finanziarie, infatti, sono solite stendere il tappeto rosso a chi appoggi la propria richiesta di finanziamento a un reddito mensile continuato. Non solo quindi lo stipendio di cui gode il lavoratore con contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma anche il pensionato, statale o privato che sia.

Proprio per questo motivo è abbastanza facile che la richiesta di prestito proveniente da questa particolare categoria trovi risposta positiva presso l’ente cui è stata inoltrata. Come ci suggerisce lo staff di Mondo Prestiti in merito ai prestiti per pensionati, ci sono alcune limitazioni che è bene conoscere, prima di inoltrare una richiesta in tal senso.

Prestiti per pensionati: i limiti di età

Quella dei pensionati è una categoria molto particolare anche per questioni puramente anagrafiche. Basti pensare che nel nostro Paese ormai dal 2011 l’età pensionabile è soggetta all’aspettativa di vita, per effetto della contestata legge Fornero. Un parametro che è in effetti tra i più elevati in assoluto a livello continentale, approssimandosi ai 70 anni.

Quando un pensionato inoltra la richiesta di prestito a una finanziaria, quindi, è del tutto logico che proprio la sua età sia attentamente valutata, in modo da riuscire a capire quali siano le effettive possibilità che possa portare a termine il piano di rientro. Ne consegue la fissazione da parte di ogni azienda di un determinato limite, oltre il quale la richiesta difficilmente sarà accettata.

Ad esempio, Unicredit fissa come limite massimo gli 80 anni alla scadenza del piano di rientro. Ciò significa che per un piano di rientro quinquennale, il richiedente dovrà avere al massimo 75 anni all’atto della richiesta per poter vedere esaudita la sua richiesta. Oltre quella soglia l’istituto ritiene troppo rischioso aderire alla stessa, preferendo quindi soprassedere.

Prestiti per pensionati: i limiti di importo

Se l’età può rivelarsi uno scoglio nel caso dei prestiti per pensionati, un altro ostacolo difficile da superare è quello rappresentato dagli importi. I quali devono essere appunto parametrati alla consistenza dell’emolumento pensionistico riscosso di mese in mese.

Il meccanismo di valutazione, infatti, deve prendere in considerazione un fatto preliminare: i piani di rientro di questo genere di prestito non devono andare a intaccare il cosiddetto minimo vitale. Quello su cui deve poter contare il pensionato per affrontare la vita quotidiana. Il quale nel nostro Paese è fissato a quota 501,89 euro al mese. Se la rata che è possibile impostare va ad intaccare il minimo vitale, il prestito non può essere concesso, almeno nelle dimensioni richieste dal pensionato.

Prestiti per pensionati: occorrono le garanzie?

Abbiamo visto come il prestito per i pensionati possa andare a scontrarsi con limiti di età o di importo. C’è però un’altra questione che può impedire la concessione del prestito da parte della finanziaria interpellata. Stiamo parlando delle garanzie.

Com’è noto, chi richiede un finanziamento deve essere in grado di fornire rassicurazioni per due precisi aspetti:
– la capacità reddituale o patrimoniale. Ovvero deve essere in possesso di una pensione adeguata o di una proprietà, ad esempio un immobile, sul quale possa rivalersi l’ente erogante in caso di mancato pagamento del rateo mensile;
– il merito creditizio. In pratica chi richiede il prestito non deve aver avuto frizioni nel corso di precedenti prestiti e non deve vedere il suo nome iscritto in un registro di cattivi pagatori. Ovvero in uno dei database compilati periodicamente dalle cosiddette centrali rischi.

Se il primo criterio può essere soddisfatto dalla pensione, il secondo può invece rivelarsi un ostacolo troppo alto per un pensionato protestato. A meno di non poter fare leva sulla cessione del quinto di pensione.

La cessione del quinto di pensione: come funziona?

La cessione del quinto di pensione va in pratica a ricalcare il funzionamento di quello di stipendio. In pratica il piano di rientro viene impostato sul trattamento mensile di cui gode il richiedente, sul quale verrà effettuata una trattenuta automatica mese dopo mese, sino al ripiano del debito contratto.

Come è facile immaginare, si tratta di un modus operandi il quale mette al riparo l’ente erogante, al quale non resta che incassare la cifra concordata di mese in mese. Senza peraltro doversi preoccupare della questione inerente al merito creditizio, proprio per l’automatismo ricordato.

Anche in questo caso, però, occorre tenere in considerazione il discorso relativo al minimo vitale e rapportarlo all’entità del trattamento pensionistico. Se ad esempio la pensione è di 550 euro, il 20% (il quinto) in questione ammonta a 110. Rimarrebbero quindi al pensionato soltanto 440 euro al mese, ovvero una cifra inferiore ai 501,89 imposti dalla legge. Rendendo di fatto impossibile all’ente consultato dare seguito alla richiesta.