Il paesaggio come risorsa

ANNA ONESTI WEBIdee e progetti per un nuovo sviluppo, dalla tutela attiva delle aree interne al riuso di siti dismessi come incubatori d’impresa

 

Il rapporto SVIMEZ 2014 sull’economia del Mezzogiorno mostra il quadro allarmante di un Sud sempre più povero, improduttivo e a rischio di abbandono, soprattutto da parte di giovani e di «talenti».Lo scenario previsto dal rapporto vede il pericoloso intreccio tra un calo demografico enorme (circa 4 milioni di abitanti in meno nel 2065), una disoccupazione record (al 2014 il numero degli occupati è inferiore al 1977 e il trend continua ad essere negativo) e un’emergenza produttiva allarmante (il PIL ha segno negativo per il sesto anno consecutivo).

 

Non meno grave è la situazione in cui versa il territorio. Le trasformazioni che hanno investito il nostro territorio nel dopoguerra e, con vigore maggiore, nel periodo successivo al sisma del 1980, hanno in parte eroso le qualità del paesaggio e soprattutto del costruito storico.In alcune zone del Salernitano, in particolare, la ricostruzione post sisma ha profondamente alterato i fattori identitari del paesaggio storico. Diffusi a macchia di leopardo e realizzati con tecnologie estranee alla cultura locale, gli interventi di «ricostruzione», in parte finanziati con fondi pubblici, hanno comportato la scomparsa di un sapere costruttivo sedimentato e la perdita della coralità del paesaggio costruito.Inoltre, la possibilità, consentita e incentivata dalla legge per la ricostruzione, di cedere la propria abitazione danneggiata per averne una nuova in aree di espansione ha contribuito a provocare una diffusa urbanizzazione delle aree peri-urbane, con l’alterazione dei rapporti tra vuoti e pieni, l’aggressione e la perdita di qualità del paesaggio rurale.

 

Oggi, la crisi economica sta accelerando e incrementando questi processi.Nelle aree più interne, lo spostamento della popolazione verso nord – fenomeno in crescita nei prossimi anni – produce l’abbandono e il conseguente degrado del patrimonio abitativo.Inoltre, la necessità della popolazione residente di adeguare il costruito ai nuovi bisogni, induce ad intervenire con micro-azioni che, a causa della scarsa disponibilità finanziaria, sono sempre meno controllate perché realizzate in emergenza, spesso senza il supporto di tecnici qualificati e senza prestare cura alle qualità esistenti. Ne deriva uno scenario di degrado diffuso, in cui gli insediamenti storici hanno perso attrattività e significato e sono sempre meno vitali.

L’insieme di queste considerazioni spinge ad una profonda riflessione sulle azioni da intraprendere per ribaltare queste dinamiche e attivare, non solo attraverso politiche nazionali ma anche e soprattutto attraverso azioni locali, un nuovo sviluppo improntato alla valorizzazione delle risorse esistenti e alla tutela attiva del paesaggio.Su questi temi sembra esserci una grande convergenza d’intenti. Il rapporto SVIMEZ, ad esempio, sottolinea la necessità di «mettere in campo una strategia di sviluppo nazionale che ponga al centro il Mezzogiorno e sia capace di coniugare un’azione strutturale di medio-lungo periodo fondata su alcuni ben individuati drivers di sviluppo tra loro strettamente connessi con un piano di “primo intervento” da avviare con urgenza:
rigenerazione urbana, rilancio delle aree interne, creazione di una rete logistica in un’ottica mediterranea, valorizzazione del patrimonio culturale». Inoltre, come lo stesso rapporto evidenzia, occorre «riscoprire il ruolo fondamentale dell’industria come elenco catalizzatore per la crescita».

 

Considerazioni analoghe sono alla base dei documenti programmatici sulla strategia di sviluppo delle aree interne, elaborati dal Comitato Tecnico per le Aree Interne, la cui costruzione è stata avviata dal Ministro per la Coesione già nel 2012. Tutela del territorio con il coinvolgimento delle comunità locali, valorizzazione delle risorse culturali e del turismo sostenibile, sistemi agro-alimentari, energia rinnovabile e saper fare locale sono gli ambiti d’intervento individuati per attivare lo sviluppo locale.L’elaborazione di progetti locali coerenti con queste linee programmatiche è sempre più un’azione strategica per lo sviluppo. Di conseguenza, la comunità scientifica e gli stessi professionisti che incidono sulla trasformazione del territorio hanno, nel loro specifico disciplinare, un ruolo oggi più che mai cruciale nel ribaltare le dinamiche economiche in corso. Attraverso la conoscenza profonda delle potenzialità del territorio, per la quale è essenziale il coinvolgimento attivo della comunità locale, è possibile avviare in sinergia azioni fisiche di rigenerazione che integrino tutela del paesaggio e sviluppo sostenibile in un’unica finalità. Lo sviluppo di living lab e metodi partecipatori, che restituiscano alla comunità locale la responsabilità della cura del territorio, appare oggi come l’attività più utile a garantire la rivitalizzazione sostenibile del patrimonio abitativo e la creazioni di sinergie.Nell’ambito più specifico delle attività produttive, suscitano particolare interesse gli «incubatori d’impresa», luoghi che rispondono all’obiettivo di accogliere piccole e medie imprese in fase di start-up, con la condivisione di alcuni servizi, fisici e non, essenziali all’avvio dell’attività.

 

A partire dal cosiddetto «Kilometro Rosso» di Bergamo, l’esempio più rilevante a livello nazionale, vero e proprio distretto dell’innovazione, gli incubatori d’impresa stanno rapidamente prendendo piede anche nel Mezzogiorno. L’idea progettuale che qui si propone è il riuso di siti dismessi (ve ne sono diversi nel Salernitano) come incubatori di imprese, la cui produzione sia fortemente legata alle specificità del territorio. Agendo in sinergia per minimizzare risorse e scarti e condividendo, oltre ai servizi essenziali, le attività di promozione e la qualità dei prodotti, tali imprese potrebbero dare vita ad un distretto produttivo circolarizzato, presidio per la cura del territorio, la cui qualità diventa una risorse che contribuiscono a promuovere.