Freud’s Bones: il Made in Italy che psicanalizza il videogioco

Un titolo dedicato al padre della psicoanalisi ideato dalla game designer partenopea Fortuna Imperatore, in arte Axel Fox

 

E bravo Sigmund. Proprio lui che aveva tanto analizzato e scrutato, sondato e spinto nel profondo la nostra psiche diventa ora un personaggio dell’universo game e addirittura una modalità di fare analisi tutta giocata nel mood videoludico. Si parla, infatti, tanto di come i videogiochi possano influenzare la psicologia umana. E, cambiando punto di vista, il medium videoludico è in grado anche di trasmettere psicologia o, per essere più precisi, psicanalisi, e Freud’s Bones ne è la dimostrazione.

Uscito a maggio di quest’anno, il titolo mostra anche come più passioni possano convergere in un videogioco. L’autrice, Fortuna Imperatore, è una game designer, nonché dottoressa in Scienze e Tecniche Psicologiche alla Federico II di Napoli. Il risultato è, appunto, un videogioco punta&clicca incentrato sulla figura di Sigmund Freud e della psicanalisi. A primo impatto, viene spontaneo chiedersi in che modo un videogioco possa raccontare un tale argomento. Ma Freud’s Bones non è semplicemente un videogioco che racconta di Freud e della psicanalisi, ma il videogioco stesso diventa un mezzo attraverso cui lo stesso Freud parla con il videogiocatore/trice che può rispondergli selezionando delle risposte. Se alla rottura della quarta parete si aggiunge il fatto che Sigmund sa di essere controllato e di avere “una voce nella sua testa” – ovvero il videogiocatore/trice – il risultato è un gameplay che diventa per Freud una seduta di auto-psicanalisi. Il tutto mentre c’è una fila di pazienti che aspettano il proprio turno per cercare di risolvere in qualche modo i problemi più oscuri e reconditi della loro mente, ed è proprio qui che l’approccio a questo videogioco può cambiare in base allo stesso videogiocatore/trice.

Per chi ha studiato o letto le teorie di Freud l’approccio sarà sicuramente più diretto una volta capito lo svolgimento delle sedute con i pazienti. Per chi invece conosce poco le teorie della psicanalisi, sarà lo stesso Freud’s Bones a venire in aiuto, fornendo tutti gli strumenti per comprendere il pensiero freudiano attraverso un’enciclopedia-guida liberamente consultabile in cui i concetti sono spiegati in modo semplice e funzionali al gameplay. Ciò è ovviamente merito della formazione accademica della sviluppatrice che, così facendo, non solo dà la possibilità a chiunque non conosca bene le teorie di Freud di poter fruire del titolo, ma è anche un modo per trasmettere un sapere. Freud’s Bones, quindi, è un esempio calzante di come il medium videoludico sia uno strumento che permette di veicolare cultura attraverso persone esperte di quel dato settore, sia che siano esse stesse a creare un prodotto videoludico, sia che ne siano chiamate come consulenti nello sviluppo e realizzazione. In sostanza, il videogioco si presta come mezzo di sinergie tra varie figure professionali e come luogo in cui poter convergere e far esplodere le proprie passioni in modo creativo.

A prescindere se si è esperti o meno, una cosa è certa: chi si trova davanti Freud’s Bones deve armarsi di pazienza, ma non in senso negativo. Innanzitutto, la pazienza è una prerogativa insita del genere di videogiochi punta&clicca che, in questo caso, diventa una vera e propria meccanica del gameplay: fare una seduta di psicanalisi, ascoltare i pazienti, capire i loro discorsi e cosa si nasconde nelle loro menti richiede pazienza, proprio come nel mondo reale. Se si è frettolosi c’è il rischio di dare una diagnosi sbagliata e, quindi, di scontentare il paziente che, tra le altre cose – nel videogioco – potrebbe non pagare Freud. Perché sì, è presente anche una piccola componente gestionale calzante con il tema. “La voce nella testa” dovrà infatti gestire Freud in merito alle sue “dipendenze” delle quali la prima è la cocaina. È risaputo infatti che per testare gli effetti di questa sostanza a uso terapeutico lo stesso padre della psicanalisi ne facesse uso. La seconda è il fumo. Non per niente, molte immagini di Freud lo ritraggono con il sigaro. I soldi ricavati dalle sedute di psicanalisi dovranno essere investiti nel comprare questi due prodotti, ma bisogna stare attenti nel somministrarli al dottore, soprattutto quando si trova sotto stress.

Ciò che è peculiare, ritornando al discorso della quarta parete, è che in questo modo il videogiocatore/trice rappresenti per certi versi la voce della dipendenza. Tutto torna al perché della parola bones (“ossa”, in inglese) nel titolo. Prendendo il controllo di Freud nel modo in cui è stato descritto, ci si impossessa del corpo del suo corpo, si “diventa” le sue ossa. Il binomio videogiochi-psicanalisi può sembrare in apparenza singolare tanto quanto il binomio videogiochi-Italia. Quando si parla di sviluppo videoludico, infatti, le prime due “fucine” geografiche cui si pensa sono Giappone e Stati Uniti. Il territorio europeo invece, negli ultimi anni, ha come zona calda la Polonia, con la casa di sviluppo CD Projekt RED, famosa per la serie di successo The Witcher. La domanda sorge pertanto spontanea: e l’Italia? Il libro “Il videogioco in Italia. Storie, rappresentazioni, contesti” a cura di Marco Benoît Carbone e Riccardo Fassone (Mimesis, 2020), fornisce un’attenta analisi della situazione, storica e attuale, del medium videoludico italiano. Riguardo l’industria videoludica italiana, infatti, si afferma che essa è: «arrancante per problematicità connesse all’attività del fare industria in Italia (…) si trova nell’ultimo quinquennio a operare in un contesto internazionale saturo che esprime una competizione elevata (…) non incoraggiata dalle Istituzioni (…)». Non entrando nello specifico del discorso, dando una scrupolosa occhiata, si può dire che la situazione descritta non influisca sulla possibilità di trovarsi fra le mani titoli videoludici italiani davvero interessanti, proprio come Freud’s Bones, apripista per la rubrica “Mondi Persistenti” che (psic)analizzerà il Made in Italy videoludico.