Dal mito della caverna al Metaverso

Stiamo entrando in una nuova dimensione digitale di cui ancora non abbiamo chiari rischi e potenzialità

È da un po’ di tempo che si sente parlare di “Metaverso”. In particolare il termine ha acquisito “popolarità” da quando, il 28 ottobre 2021, il colosso guidato da Mark Zuckerberg ha annunciato il cambio della ragione sociale da Facebook Inc. in Meta Platforms Inc., con il logo che riporta il semplice termine “Meta” e il simbolo dell’infinito. Cambio che sottende anche una “evoluzione” o, per meglio dire, una “rivoluzione” delle politiche e delle strategie aziendali come da Zuckerberg stesso annunciato: “Siamo all’inizio di un nuovo capitolo per Internet, ed è anche un nuovo capitolo per la nostra azienda” e, stando sempre alle sue dichiarazioni: «La prossima piattaforma sarà ancora più immersiva, e rappresenterà un internet nel quale non vi limitate a guardare ma vivete in prima persona l’esperienza, e noi chiamiamo questo il metaverso. E voi sarete in grado di fare quasi tutto ciò che potete immaginare, incontrare gli amici e i familiari, lavorare, apprendere, giocare, acquistare…”.

Da quel momento non solo gli “addetti ai lavori” ma anche la stampa generalista ha cominciato a parlare, non sempre in maniera appropriata e/o esaustiva, di metaverso facendolo quasi divenire un fenomeno di “moda” contribuendo, comunque, a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica, di professionisti, di imprenditori su questa “nuova” realtà con cui dovremo necessariamente confrontarci nei prossimi anni.

In realtà il termine “metaverso” inteso come “universo parallelo”, come suggerisce l’etimologia della parola (“meta”, dal greco “oltre”, e “verso” che altro non è che l’abbreviazione di “universo”), non è stato coniato da Zuckerberg e, anche “filosoficamente”, trova origini ben più lontane. Senza voler andare troppo indietro nel tempo (circa al 400 A.C.) all’allegoria della caverna di Platone (all’inizio del VII libro de La Repubblica nel dialogo che Socrate propone a Glaucone) una versione contemporanea della caverna platonica è “Matrix”, film del 1999 scritto e diretto dai fratelli Andy e Larry Wachowski. In Matrix quella che tutti credono essere la realtà è invece un’illusione virtuale. Nella vera realtà, che solo pochi vedono e conoscono, gli umani sono schiavi delle macchine, che li usano per produrre energia. Morpheus è il “maestro” che educa Neo a vedere il mondo reale e a fargli comprendere che tutto ciò che aveva sempre conosciuto non era altro che un’illusione. Proprio come nell’allegoria platonica, dopo essere stato liberato a Neo fanno male gli occhi e Morpheus commenta: “Per forza, non li hai mai usati”. Nel film tuttavia a differenza dell’allegoria platonica, in cui il mondo reale “fuori dalla caverna” è pericoloso, in Matrix si può avere l’illusione di una vita felice e pacifica.

Storicamente, però, la parola “metaverso” compare per la prima volta nel libro, appartenente alla cultura cyberpunk, “Show Crash” (1992) dello scrittore americano Neal Stephenson che conia il termine per definire un mondo descritto come una sorta di realtà virtuale condivisa tramite internet, dove si è rappresentati in tre dimensioni attraverso il proprio avatar.

Inoltre, non sono di certo riconducibili a Zuckerberg e a “Meta” neanche le “tecnologie abilitanti” il metaverso (5G, Artificial Intelligence, Extended Reality – Augmented Reality, Virtual Reality, Mixed Reality -, blockchain, cloud, NFT, ecc.) molte delle quali conosciute da anni ma che, fino ad ora, non erano state mai completamente integrate tra loro e che solo da poco hanno cominciato a essere quasi mature e a confluire nel cosiddetto Web 3.0 (“un puzzle di tecnologie che devono incontrarsi, incastrarsi e valorizzarsi a vicenda”) rendendo “possibile” il metaverso stesso. Zuckerberg, però, ha avuto il merito, o la furbizia, di capire che i tempi erano “maturi” e che nell’arco di una decina d’anni tale rivoluzione sarebbe stata compiuta, e ha avviato la sua “corsa” un po’ come l’astronauta che pianta la bandiera sul “suolo” su cui ha messo piede per marcare il territorio.

Non siamo, dunque, di fronte a una nuova tecnologia e nemmeno a un termine coniato da Zuckerberg, bensì a un processo inevitabile della “convergenza digitale” intrapresa a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso, un universo digitale frutto di molteplici elementi tecnologici, che affonda profondamente le sue origini nel pensiero moderno.

Ma a questo punto ci sarebbe da chiedersi: cosa si intende oggi per “metaverso”? Consapevole che non è possibile definirlo in maniera univoca ed esaustiva, o che almeno non sono io in grado di farlo, ricorrerò a quella che mi è sembrata la migliore definizione data da Enzo Montagna nel testo “Metaverso Noi e il Web 3.0” edito da Mondadori: “Il Metaverso è un mondo digitale, fatto di spazi, aperti e condivisi, in cui ci muoviamo fisicamente, in prima persona o rappresentati da avatar, per trovarci con altre persone, per interagire con loro, con gli oggetti e gli ambienti circostanti. È un mondo a cui accediamo attraverso un PC, uno smartphone, occhiali, visori. Un mondo che estende le nostre esperienze fisiche portandoci in nuovi contesti dove reale e digitale si sovrappongono, dialogano o si sostituiscono, creando nuove esperienze personali, sociali, e contestuali, di significato, dove le transizioni economiche avvengono attraverso piattaforme, portafogli e monete virtuali che creano nuovi mercati”.

Stiamo, quindi, entrando in un “nuovo web”, una nuova dimensione digitale: il web 3.0, in cui Internet assumerà una modalità estesa con una ibridazione tra reale e digitale. Un Web basato sull’integrazione di tecnologie emergenti e paradigmi totalmente nuovi che eserciteranno un forte impatto sul sistema socio-economico e sulle nostre vite. Il metaverso non sarà solo un nuovo medium, un nuovo Web ma una innovazione che ci abiliterà a un cambiamento radicale di relazione con il nostro spazio, con gli oggetti e con le persone “intorno”. Un “nuovo ecosistema”, un “nuovo ambiente”, in cui tecnologia, società, scienza, nuovi sistemi economico-finanziari “convivono”. Come detto in precedenza: una vera rivoluzione!

Ma a che punto siamo di questa rivoluzione? A mio parere, solo agli inizi anche se sia Meta sia Microsoft, tralasciando per il momento le altre Big Tech (come Alphabet Inc., Samsung, Nvidia, Apple, ecc.) che di certo non resteranno a guardare, si sono portate avanti, forse sin troppo, scatenando aspettative e immaginazione intorno “ai loro metaversi”, dovremo attendere ancora qualche anno per vedere questi ambiziosi progetti a pieno regime e, probabilmente, circa un decennio per cominciare a vederne la mass adoption.

A tal proposito è emblematica la recente lettera aperta (24 ottobre 2022) indirizzata al CEO di Meta, Mark Zuckerberg, e al consiglio di amministrazione da Brad Gerstner, CEO e fondatore della società d’investimento Altimeter Capital, che possiede una quota di circa lo 0,11% in Meta. L’azionista ha definito la scommessa dell’azienda nel metaverso “eccessiva e terrificante” e ha esortato a ridurre i propri investimenti nel metaverso e nelle tecnologie correlate, dato che tale strategia ha causato un calo significativo del prezzo delle azioni della società negli ultimi 18 mesi. Gerstner ha affermato che l’ingresso di Meta nel metaverso, sebbene importante, non dovrebbe richiedere un investimento di tale portata (l’azienda ha infatti investito 10-15 miliardi di dollari all’anno nei suoi progetti legati al metaverso, comprese tecnologie AR/VR e Horizon World) e ha sottolineato che “potrebbero volerci dieci anni per produrre risultati e che un investimento stimato di oltre 100 miliardi di dollari in un futuro sconosciuto è eccessivo e terrificante, anche per gli standard della Silicon Valley.”

Se da un lato, dunque, non si può ancora parlare di un “reale” e “unico” metaverso ma di più tentativi, di più “metaversi”, visto che ciascuna Big Tech sta cercando di “imporre” proprie soluzioni, è anche vero però che esistono molte applicazioni (Extended Reality o “semplicemente” Augmented Reality, Virtual Reality, Mixed Reality) sviluppate sia da Grandi Aziende, sia da Piccole e Medie Imprese e startup innovative anche italiane (come, ad esempio, la Engineering SpA, la campana SpinVector, da poco entrata in Mare Group, la pugliese Hevolus Innovation e la siciliana Coderblock, ecc.) di grande interesse per molti campi di applicazione come: l’istruzione; i beni culturali; la formazione del personale aziendale; l’industria; l’architettura e l’arredo; la “collaborazione” e le “fiere ed eventi virtuali”; il gaming (che probabilmente ,ad oggi, è il più “maturo”); il Fashion & Retail; l’E-Health; ecc.

Inoltre, anche in termini di valore economico, il potenziale in cifre del metaverso è ragguardevole. In un recente studio, Value creation on metaverse, realizzato dalla società di consulenza globale McKinsey è stato stimato che: “entro il 2030 il Metaverso arriverà a valere 5 trilioni di dollari preannunciandosi come la più grande nuova opportunità di crescita per diversi settori nel prossimo decennio dato il suo potenziale per consentire lo sviluppo di nuovi modelli di business, prodotti e servizi e fungendo da canale di coinvolgimento sia in ambito B2B che B2C”.

Come si intuisce facilmente le potenzialità del “metaverso” sono “disruptive” e le possibilità e opportunità che si concretizzeranno tra pochi anni saranno innumerevoli ma, come in tutte le cose, sono molti anche i potenziali “pericoli” e interrogativi di natura tecnica, economica, e, soprattutto, giuridica, sociale ed etica cui bisogna dare quanto prima possibile delle risposte.

Riguardo ad alcuni potenziali pericoli è emblematico un articolo di Gianluigi Bonanomi in cui sono stati analizzati i frame (dalla “teoria dei frame” introdotta dal sociologo Erving Goffman e ripresa dal linguista George Lakoff) del discorso di Zuckerberg (Founder’s Letter 2021):

I frame – “Il metaverso non sarà creato da una società. Sarà costruito da creatori e sviluppatori che creeranno nuove esperienze e oggetti digitali che sono interoperabili”.

“In questo caso – evidenzia Bonanomi – il “non” tradisce le reali intenzioni di Meta. Ci sono già diversi metaversi ma Zuckerberg vuole uno strumento proprietario. Firmato Meta, firmato Facebook».

II frame – “Non costruiamo servizi per fare soldi; facciamo soldi per costruire servizi migliori”.

A tal proposito Bonanomi suggerisce che:“L’obiettivo reale non è il progresso dell’umanità, ma fare business ovviamente. Legittimo, per una società che non è una no profit. Ma il tentativo di framing è quello del mecenatismo. La stessa cosa si vede bene dal film “Il codice da un miliardo di dollari (The Billion Dollar Code)” di Netflix in cui Google presentò il progetto Google Earth come completamente free e senza scopo di lucro, per arricchire l’umanità, ma la realtà era ben diversa”.

III frame – “Non si tratta di passare più tempo sugli schermi; si tratta di rendere migliore il tempo che già trascorriamo.”

“Il dubbio – sottolinea Bonanomi – è proprio quello che l’obiettivo di Meta sia far passare più tempo sugli schermi: in pratica stanno costruendo l’ennesimo walled garden, un ecosistema chiuso che non faccia desiderare alle persone di andare altrove. Più le persone rimangono chiuse dentro al (loro) metaverso, più guadagnano raccogliendo dati.”

IV frame – “I dispositivi non saranno più al centro della vostra attenzione”.

Riguardo tale punto Bonanomi paventa che “quello che ci sta dicendo è proprio che i dispositivi saranno come l’aria che respiriamo: non la vediamo ma non possiamo farne a meno”.

Da questa analisi delle dichiarazioni di Zuckerberg appare chiaro che alcuni pericoli sono reali e che il “suo” Metaverso non ha nulla di poetico. Sta semplicemente tentando di ampliare il suo impero, ottenere ulteriori informazioni sulle nostre vite per alimentare un nuovo colossale affare dalle immense ricadute antropologiche.

Gli ultimi due punti, inoltre, rappresentano un potenziale pericolo soprattutto per la Generazione Z (i nati tra il 2000 e il 2012) e la Generazione Alpha (i nati dopo il 2012) che, già oggi, sono iperconnessi e quasi “schiavi” dei loro mobile device cosa che, in alcuni casi “patologici”, li porta ad essere alienati dal mondo reale.

Volendo, poi, estremizzare, potrebbe accadere che tra qualche decennio, in una possibile seconda fase del metaverso, questa continua e costante evoluzione dei device (occhiali, visori, ecc.) utilizzati per vivere esperienze sempre più immersive possa portare a dispositivi direttamente integrati nel nostro corpo facendoci divenire una sorta di cyborg che vivono in una realtà mista: reale e digitale. O meglio, in “una iperrealtà in cui realtà e simulazione si fondono così perfettamente che non c’è una chiara separazione tra i due mondi (rif. Jean Baudrillard)”.

Detto ciò è evidente che storicamente tutte le innovazione prima scientifiche, poi tecnologiche, sociali ed economiche, hanno permesso all’umanità di progredire e di creare benessere e cultura. Sarà necessario, dunque, essere vigili su alcuni fenomeni e “governarli” al meglio ma, di certo, non possiamo rimanere rinchiusi nella caverna, avendo timore dei pericoli che si trovano all’esterno. Dobbiamo essere capaci di uscire e volgere lo sguardo verso la luce facendo attenzione a … non “rovinarci gli occhi”.