Il futuro che ci aspetta: la nostra Pubblica Amministrazione ad una prova decisiva

 

L’emergenza sanitaria ha reso popolare l’espressione smart working che, letteralmente, sarebbe un “lavorare in maniera intelligente, agile”, ma nella realtà si è tradotto con lavorare “stando a casa”. È stato un utile strumento, in questo periodo, ma non è una novità assoluta. Già previsto dalla Legge 124/2015, è stato ribadito con la Legge 22 maggio 2017 n. 81 che ha esteso le linee guida anche alla Pubblica Amministrazione. In tempo poi di Coronavirus, il Governo ha emanato alcuni decreti legge che hanno semplificato l’accesso allo smart working, invitando le amministrazioni pubbliche a potenziare il lavoro agile, (Direttiva n.1 del 2020 – Emergenza epidemiologica COVID-2019 poi sostituita dalla Direttiva 2/2020 del 12 marzo 2020) rafforzando ulteriormente il ricorso a tale metodo di lavoro alternativo, prevedendo che questa diventi la forma organizzativa ordinaria per le pubbliche amministrazioni.

Per come la vede chi scrive, al di là delle giuste attenzioni sul piano giuslavoristico, alla analisi dei vantaggi per le famiglie e finanche per l’ambiente (per la diminuzione del traffico che ne consegue), l’effetto che interessa è l’impatto che ciò ha avuto e avrà sui cittadini, se questo è il futuro che ci aspetta. Bisogna dire che le deficienze della burocrazia non si sono alleggerite ma complicate in questi mesi e purtroppo, a mio avviso, lo saranno in futuro ancor di più.Di certo gli uffici sono rimasti sguarniti, con poco personale e con le difficoltà di accesso dovute al COVID19, ma il personale “a casa” non ha potuto interagire come si doveva. Ha contribuito alla stasi anche la sospensione dei termini procedimentali disposta ex lege, che non imponeva scadenze tra febbraio e maggio 2020, ma l’impressione generale degli utenti è stata di un generale rilassamento, anche nella Fase c.d. 2 , perché, chi lavorava molto prima, ha continuato a lavorare, e chi lavorava poco, con le modalità dette, non ha lavorato con efficienza da casa, per usare un eufemismo, e senza scendere a definire tale periodo come una “lunga vacanza retribuita”, come pure ha detto espressamente un importante Sindaco come Sala, per i dipendenti del Comune di Milano.

Non si cambia la mentalità o l’attitudine dei singoli, ma se questo deve essere il futuro, vanno attivate alcune precauzioni e il dibattito di questi mesi, che è stato ampio per le tutela sindacali, per i contratti di lavori da modificare, andrebbe a mio avviso implementato o arricchito da altri punti di vista.

Come verificare per esempio l’effettivo lavoro da casa? Deve seguirsi una logica di risultato o di orario? E con quali controlli? Può il cittadino con gli strumenti digitali connettersi ad esempio, con il responsabile del procedimento in smart working? Si pensi alle difficoltà di una procedura di appalto in corso e il RUP a casa. Inoltre è necessario investire in sistemi informatici e quindi soluzioni per profilare gli utenti, tracciare gli accessi e attività, oltre a consentire ai dipendenti di poter eseguire le proprie funzioni ovunque. Le amministrazioni dovranno adottare sistemi informativi e software, produrre documenti in formato digitale e offrire agli utenti la possibilità di pagare telematicamente.

Tra le tecnologie utili molti, correttamente, indicano le piattaforme che consentono di memorizzare file e cartelle online, senza la necessità di salvarli su un dispositivo fisso (c.d clouding). In tal modo ogni dipendente a distanza potrà accedere al procedimento in corso e intervenire, senza “lasciar di sasso” l’utente che si sente rispondere semplicemente che quel funzionario addetto alla sua pratica “non è contattabile e non può far questo o quello da casa”. Insomma, l’esperienza digitale dovrà migliorare la vita del pubblico impiegato, ma soprattutto quella del cittadino. Se no, tutto diventerà l’ennesimo buco nero della burocrazia, acque sicure per i fannulloni.