Licenziamenti disciplinari, c’è il reintegro se il fatto è privo del requisito dell’antigiuridicità

massimo ambron bigLa Cassazione, nel caso qui commentato, ha respinto il ricorso proposto dall’azienda, decretando che i fatti contestati, pur sussistenti, fossero di rilievo disciplinare sostanzialmente inapprezzabile

 

La Cassazione – con sentenza n. 18418 – ha confermato un orientamento che va consolidandosi e che richiama le imprese ad un’attenta valutazione prima di ricorrere a provvedimenti di tipo espulsivo.

 

La Corte Suprema ha enunciato infatti il seguente principio: «l’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente deve essere ricondotto alla ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cosiddetta reale. Nella specie la sentenza impugnata ha accertato la sostanziale non illiceità dei fatti addebitati e tale accertamento non ha formato oggetto di adeguata censura ad opera della ricorrente. Deve pertanto chiarirsi – conclude la Corte – che non può ritenersi relegato al campo del giudizio di proporzionalità qualunque fatto (accertato) teoricamente censurabile ma in concreto privo del requisito dell’antigiuridicità, non potendo ammettersi che per tale via possa essere sempre soggetto alla sola tutela indennitaria un licenziamento basato su fatti di rilievo disciplinare sostanzialmente inapprezzabile».

 

Le contestazioni mosse nei confronti del lavoratore, poi licenziato, erano molteplici, vale a dire comportamenti litigiosi, maleducati e offensivi nei confronti di colleghi, con l’aggravante che il suo ruolo era addirittura legato alla formazione degli stessi. Inoltre egli aveva reiterato un atteggiamento conflittuale con l’azienda, rifiutandosi di ridiscutere il superminimo individuale pur assegnatogli in via provvisoria. Per questi motivi, l’azienda gli aveva comminato il licenziamento per giusta causa, essendo venuta meno la fiducia alla base del rapporto di lavoro. In primo grado il giudice, rilevata una sproporzione tra i fatti contestati e il provvedimento espulsivo, aveva ritenuto di applicare tutela reintegratoria e risarcitoria prevista al quarto comma dell’art. 18. La sentenza era poi stata in parte riformata in Appello, con la detrazione di quanto il lavoratore per sua stessa ammissione aveva percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative.

 

Tralasciando gli altri motivi alla base del ricorso per Cassazione da parte dell’impresa, ritenuti anch’essi infondati, è invece qui di interesse la motivazione di inammissibilità, con cui la Cass. Replica alla denuncia da parte della Azienda di violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 della L. n. 300/70 nel testo risultante a seguito delle modifiche introdotte dalla L. n.92/12. L’azienda, infatti, sosteneva che nel caso specifico i fatti contestati si erano effettivamente verificati, così come confermato sia dalle documentazioni prodotte, sia dalle prove testimoniali e pertanto il giudice doveva applicare la sanzione indennitaria. Infatti, la L. 92/12 prevedeva la reintegra come eccezione e comunque in casi specifici, come la manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. La Cassazione, respingendo il ricorso proposto dall’azienda, ha ritenuto però che i fatti contestati, pur sussistenti, non abbiano il carattere dell’antigiuridicità, condizione questa essenziale. Affinché al licenziamento venga applicata la sola tutela indennitaria.

In buona sostanza, l’indagine del giudice è orientata non solo alla sussistenza del fatto nella sua materialità, ma anche sulla sua rilevanza disciplinare, sull’elemento psicologico, sulla prova del dolo e/o colpa da parte del dipendente. Se tutto ciò non viene dimostrato, secondo l’orientamento della Cassazione, può esserci la reintegrazione nel posto di lavoro.