Tra le priorità del nuovo Governo sarebbe utile un patto per la riforma della giustizia civile
La crisi di governo, che sul finire dell’estate ha consegnato al Paese una nuova maggioranza, sembra voler diversamente proiettare le azioni di riforma invocando un “patto politico e sociale” orientato alla sostenibilità in una dimensione intergenerazionale.
Sono le parole pronunciate dal presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte nel discorso con il quale ha chiesto ed ottenuto la fiducia parlamentare per l’avvio di questa nuova esperienza di governo.
Un «progetto di governo del Paese» e non un elenco di proposte eterogenee e nemmeno una sommatoria delle diverse posizioni assunte dalle forze politiche al fine di marcare la distanza con la precedente esperienza e per avviare “una nuova, risolutiva stagione riformatrice”.
E se «le parole sono pietre», invocare nelle aule parlamentari «equilibrio e misura, sobrietà e rigore» per raccogliere una rinnovata fiducia dei consociati (nella consapevolezza che la fiducia nelle istituzioni è “il presupposto imprescindibile” perché ogni azione pubblica possa essere davvero efficace), dare la fiducia a questo Governo non può significare delegare ciecamente ogni risposta, ma partecipare e sorvegliare perché questo progetto politico possa avere davvero quell’ampia portata “anche culturale” solennemente affermata e posta a base della proposta approvata.
Così evitare «il frastuono dei proclami inutili e delle dichiarazioni bellicose e roboanti» e «adoperare un lessico più consono e più rispettoso delle persone, della diversità delle idee», impegnarsi ad «essere pazienti anche nel linguaggio, misurandolo sull’esigenza della comprensione» fino a caratterizzare l’azione di governo con l’utilizzo di un linguaggio “mite” (“perché siamo consapevoli che la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole”) significa affermare la centralità di una svolta verso sistemi dialoganti e non antagonisti preferendo strumenti di cooperazione e non di contrapposizione, in un consolidato percorso mediativo che è alla base di ogni scelta politica.
Se i cittadini si attendono un “supplemento di umanità” e occorre che il volto della Repubblica (secondo le parole pronunciate da Giuseppe Saragat nella seduta inaugurale dell’Assemblea costituente e richiamate dal presidente Conte) sia un “volto umano”, la strada è segnata ed i valori consacrati nella Carta fondamentale devono guidare ogni azione di governo mettendo sempre al centro “il primato della persona”.
In questo quadro i confini e gli obiettivi dell’azione riformatrice del governo possono orientarsi coerentemente in tutti gli ambiti, ivi incluso quello primario della giustizia. E non vi è dubbio che “il nostro Paese necessita di una riforma della giustizia civile” verso l’obiettivo prioritario generale di “crescita e sviluppo sostenibile”, seguendo il metodo dell’ascolto nel contesto di un dialogo costruttivo non pregiudiziale.
E se le parole possono essere “finestre” (e non “muri”), il discorso programmatico che ha raccolto la fiducia delle Camere apre un’ampia finestra sul futuro del Paese e sugli strumenti e sulle prospettive di riforma anche della giustizia civile.
D’altronde migliorare la giustizia civile e la sua efficienza non soltanto è possibile, ma deve costituire un obiettivo prioritario di qualsiasi azione di governo che intenda innovare creando le basi per una incisiva trasformazione culturale prim’ancora che tecnica e organizzativa.
In ogni caso, una seria ipotesi di riforma della giustizia civile non può non tener conto non soltanto dell’alto grado tecnico dello specifico settore, ma delle sue profonde implicazioni sociali ed economiche: ogni scelta operata in questo ambito incide infatti inevitabilmente nei rapporti tra i consociati e nelle relazioni tra questi e le istituzioni.
Insomma, un sistema complesso quello della giustizia civile il cui impatto diretto sul sistema socio-economico del Paese richiede una valutazione che superi la mera logica del dettaglio normativo, per lo più processuale, aprendo a riflessioni che orientino le opzioni sul tavolo nel solco dell’efficienza, della sostenibilità, del riequilibrio del tasso di litigiosità implementando l’uso di strumenti di pacificazione sociale.
Il tema è necessariamente trasversale e multidisciplinare, ma anche altamente strategico. Partendo da obiettivi comuni è possibile creare percorsi condivisi attraverso i quali fare scelte anche radicali e ambiziose per la crescita sostenibile del Paese rafforzando e rendendo coeso il tessuto sociale e rilanciando la competitività del sistema economico.
Occorre perciò costruire un sistema che consenta una efficace tutela dei diritti, ma anche un radicale riequilibrio della litigiosità, attraverso un efficiente funzionamento dei sistemi di dispute resolution. Rendere economico, rapido e allo stesso tempo efficace un sistema le cui risorse sono estremamente limitate postula la ricostruzione del rapporto di fiducia con il cittadino o con l’impresa che domanda giustizia, avviando un nuovo approccio ecologico al conflitto.
In questa direzione un testo unico (o anche un “codice” della giustizia civile) potrebbe infatti costituire l’obiettivo per un ripensamento prima che tecnico, culturale e per ciò stesso trasversale, non soltanto dei saperi, ma anche dell’agone politico. Non quindi una ennesima riforma delle regole processuali quale obiettivo prioritario quasi obbligato per l’efficienza della giustizia civile. L’esperienza insegna infatti che riformare il processo (e soltanto il processo) peraltro in una logica di mero efficientismo, non può costituire la soluzione. Lavorare sui rimedi e sui rimedi dei rimedi genera un livello di ridondanza i cui effetti possono essere addirittura agli antipodi della propugnata efficienza. Né la funzione sociale del processo può essere obliterata da esigenze emergenziali che lo sospingono sempre più verso epiloghi di mero rito, utili al solo respingimento del contenzioso con effetti di rimbalzo per lo più sottovalutati perché difficili da rilevare nel breve periodo.
Un codice della giustizia civile quale casa comune dei sistemi di dispute resolution per stimolare una riflessione non settoriale e non autoreferenziale, ma soprattutto orientata da un lato a rafforzare il processo e, dall’altro, a mettere a punto quei procedimenti diversi, alternativi o paralleli, separati o integrati, per l’efficienza del nuovo sistema della giustizia civile.
D’altronde la strada intrapresa a livello europeo sposta il baricentro dei meccanismi risolutivi inevitabilmente fuori del processo, disegnando percorsi stragiudiziali regolamentati e posti in equilibrato rapporto con la giurisdizione, sollecitando forme di integrazione.
Nessuna contrapposizione quindi tra la giurisdizione, chiamata a dirimere le liti con decisioni rapide ed efficaci rese all’esito di un giusto processo, e sistemi extragiudiziali, finalizzati per lo più a risolvere i conflitti mediante l’accordo attraverso percorsi negoziali diretti e indiretti, con e senza l’ausilio di un terzo imparziale.
Riprendendo le parole del presidente Conte, «questo è il momento del coraggio e della determinazione. Il coraggio di disegnare un Paese migliore».
Ed allora i tempi sono maturi per disegnare anche un sistema della giustizia civile che nella sua complessità sia efficiente, equilibrato e sostenibile.