Sedi all’estero: cosa c’è da sapere quando se ne vuole aprire una

Daniele Trimarchi

Decidere dove insediare l’attività e quale forma giuridica darle sono solo due delle scelte che dovrà ben ponderare chi vuole spostare fuori dei confini nazionali il proprio business

Aprire una sede all’estero non è un’operazione semplice, e non solo perché all’imprenditore viene richiesto di valutare un investimento considerevole, ma soprattutto perché ci sono aspetti dolorosi che un’azienda è obbligata ad affrontare per crescere all’estero.

Premetto che la decisione di avere una presenza all’estero deve essere presa considerando che tornare indietro, spesso si traduce in ingenti perdite. Per questa ragione, risulta più vantaggioso guardare prima di tutto ai mercati dove già si hanno flussi commerciali. Questo aiuterà ad ammortizzare almeno parte dell’investimento.

Attenzione a identificare un manager che sappia gestire con autonomia tutte le fasi fino al break-even. Sarebbe preferibile un profilo esterno all’azienda, con competenze trasversali e abilità di agire in situazioni complesse e/o ambigue.

La scelta della location, invece, spesso dipende dalla presenza di idonea clientela. Occorre scegliere un’area facilmente raggiungibile da personale che abbia competenze che servono alla propria finalità.

Non sottovalutare, poi, la fase di creazione di un networking professionale. Esperti presenti sul posto si rileveranno più utili di quello che possiate credere. La figura del commercialista, per esempio, è meglio sceglierla tra professionalità ben affermate; risparmiare, in questo caso, lo ritengo un grosso errore.

Non va sottovalutata neanche la ricerca dell’avvocato: meglio uno studio associato che potrà seguire l’azienda sia nella contrattualistica, sia nella gestione delle risorse umane.

Infine, dove possibile, chiedere anche al cliente principale di fornire personale di supporto; verificherete in questo modo se è nel suo interesse accelerare i tempi d’ingresso nel nuovo mercato.

La scelta della forma societaria, inoltre, spesso è lasciata al consulente locale. Benché queste si somiglino e ripetano un po’ ovunque, meglio ricordare che le società per azioni (joint stock company) richiedono un capitale sociale più alto ma offrono maggiori protezioni, oltre a semplificazioni nello scambio di quote azionarie rispetto a società a responsabilità limitata (Ltd).

Quest’ultima forma, per certi versi scelta per semplificazione, in alcuni mercati richiede invece che il manager sia anche socio e con permesso di residenza nel mercato. Se i soci sono persone giuridiche, considerate che si dovranno presentare una bella quantità di documenti tradotti in lingua originale con certificazione e relativa “apostille”.

I primi mesi sembrano essere quelli più rischiosi. Tuttavia, per esperienza, la parte peggiore arriva in un momento successivo, cioè quando il cash flow inizia a ridursi e le attività non saranno sufficientemente rodate per sostenere la struttura.

C’è una fase di vera e propria selezione/crescita delle risorse dove, inevitabilmente, non si potrà richiedere efficienza. In questa, bisogna aver costruito un rapporto con il sistema finanziario locale che fungerà da supporto. Infine è indispensabile un controllo costante, ottenibile grazie a KPI dinamici appositamente inseriti nella fase di start up.

Una buona gestione della nuova struttura sarà in questo modo più naturale e potrà adeguarsi alla crescita delle performance.