PMI, vince il modello di filiera

Per sostenere lo sviluppo e la competitività delle imprese occorre «aggregarsi in una logica di sistema per innovare, accrescere la qualità dei prodotti e farlo in modo sostenibile»

Sul tema ampio delle filiere abbiamo sentito Pasquale Lampugnale, presidente Piccola Industria Confindustria Campania, eletto il 15 dicembre scorso neo vicepresidente nazionale di Confindustria Piccola Industria con delega a Economia, Finanza e Fisco e Coordinamento del Comitato tecnico scientifico.

 

Cuore del messaggio lanciato al Forum della Piccola Industria ad Alba è stato l’importanza di rafforzare la logica di sistema lungo le filiere italiane. L’unione tra imprese come vantaggio competitivo. Ma crescere insieme seguendo quali direttrici?

Siamo convinti che il modello ottimale per assicurare sviluppo e competitività delle imprese sia il sistema delle filiere, intese come “multinazionali diffuse”. Dobbiamo superare il tema dimensione delle singole imprese e guardare sempre più ad una logica di filiera per garantire al nostro sistema produttivo uno sviluppo solido e duraturo. Bisogna creare un ecosistema favorevole, in grado di far crescere la piccola impresa e, quindi, il Paese. Il cambiamento deve essere in primo luogo culturale. Bisogna investire in formazione e competenze, attrarre talenti e dare spazio ai manager, valorizzare cioè quegli elementi intangibili ancora poco diffusi nelle nostre piccole imprese. La filiera va vista come un luogo privilegiato di scambio di conoscenze e innovazione, come un elemento strategico per il rilancio del sistema Paese che può diventare locomotiva di sviluppo. Le imprese devono fare attenzione alle relazioni nel contesto in cui operano, in una logica che non sia solo commerciale o di mera fornitura, ma che si caratterizzi per le interconnessioni virtuose che possono portare reciproche opportunità.

È importante conoscersi, aprirsi all’esterno, perché è proprio alle altre imprese del sistema filiera che spesso affidiamo parte della nostra capacità di crescere.

Esistono differenze tra le PMI del Sud e quelle del resto del Paese in termini di criticità e prospettive?

Il 95,7% delle imprese italiane è rappresentato da piccole imprese. Per numero, fatturato e impiego di forza lavoro, le PMI sono la struttura portante dell’intero sistema produttivo nazionale. E in un momento come quello attuale, il ruolo delle PMI è ancor più fondamentale. Più che in termini di Sud/resto del Paese vorrei utilizzare un termine di confronto internazionale. L’Italia conta 4 milioni di PMI contro i 2,7 della Germania e i 3 della Francia. Questi numeri evidenziano l’importanza delle piccole imprese e della manifattura italiana in Europa. Quanto alle prospettive, le stime per il 2024 confermano una crescita a livello nazionale del 2%: Ancora poco per tornare ai tempi pre-Covid. Sono oltre 20 anni ormai che il nostro Paese cresce poco e vede aumentare i divari fra Nord e Sud e rispetto agli altri Paesi europei. Siamo ancora la seconda manifattura d’Europa, ma la Francia è poco dietro. Dobbiamo insistere sulle sei direttrici di crescita individuate dalla Commissione europea nel piano Next generation e sulle riforme di accompagnamento al PNRR, vale a dire quella fiscale, del lavoro, della giustizia e della concorrenza.

Uno dei maggiori problemi delle PMI campane, accentuato dalla pandemia, è la liquidità. Difficoltà superata o ancora presente per molte imprese?

Le misure del Governo hanno dato liquidità al sistema delle imprese e questo, nella fase di lockdown, ha favorito la possibilità di gestire i mancati pagamenti senza così interrompere i flussi di cassa. Si è trattato però di misure straordinarie, e ora sono le imprese a dover lavorare sulla patrimonializzazione, migliorare gli indici di bilancio, focalizzarsi sul core business e sulla redditività, in maniera da crescere e rafforzarsi senza compromettere le possibilità di ripresa. Le imprese devono uscire cioè dal circolo vizioso in base al quale non attraggono capitali e competenze, non possono investire in sviluppo e innovazione e non riescono quindi a fare il salto di qualità decisivo.

La pandemia ha accelerato cambiamenti epocali, rendendo urgenti scelte di investimento come quelle legate all’economia circolare e alla digitalizzazione. A che punto siamo?

Sostenibilità e digitalizzazione sono due parole d’ordine per il post pandemia. Le imprese hanno sicuramente maggiore consapevolezza sul tema sostenibilità e sulla necessità di produrre nel rispetto dell’ambiente, ma sono ancora molti quelli che usano questo concetto solo a fini di marketing, e la strada da fare è quindi ancora lunga. Le tecnologie digitali, se applicate tempestivamente e correttamente, portano un grande contributo di competitività. Se ignorate, fanno invece restare le aziende ai margini del mercato. L’Italia è molto indietro su questo fronte, siamo al 25° posto su 28 Paesi Ue nella classifica “totale” digitale. Lo sviluppo digitale di un territorio è indispensabile per sostenere l’innovazione e la competitività del suo sistema produttivo, ma le imprese campane presentano un tasso di integrazione delle tecnologie digitali nei processi produttivi ancora al di sotto della media nazionale. Il divario non dipende dalla dotazione infrastrutturale quanto piuttosto dalle competenze, ancora modeste, che si affiancano a uno scarso utilizzo di internet da parte dei cittadini e a una minore offerta di servizi digitali da parte degli enti locali.

Quanto contano il capitale umano e la formazione per le PMI?

Sono fondamentali. Non a caso l’ultimo PMI Day di Piccola Industria ha messo al centro il valore delle competenze e il ponte fra scuola, università e imprese. Il capitale umano, soprattutto in questo momento di grande transizione, è un fattore di competitività sempre più essenziale. Se il capitale umano non cresce, difficilmente potranno crescere le imprese. L’Italia investe nella scuola meno di Francia e Germania, i nostri principali competitor: dobbiamo invertire questa tendenza puntando sui giovani. Molti studenti scontano un deficit non solo di competenze ma anche di motivazione. Le imprese sono capaci di dare lo stimolo giusto per coprire questo gap, ma vanno aiutate perché la loro disponibilità non basta.

Di quali strumenti e decisioni politiche hanno quindi urgenza le PMI per sentirsi sostenute in questa fase di transizione?

Il Governo deve impostare un vero e proprio sentiero di innovazione e crescita, mettendo a sistema strumenti fiscali e finanziari che possano sostenere la crescita dimensionale e l’aggregazione tra imprese. Gli spazi e le risorse per sostenere una policy dedicata alla ripresa ci sono, tanto nel PNRR quanto nella politica di coesione. Bisogna sostenere la patrimonializzazione delle imprese, tagliare in maniera decisa il cuneo fiscale e contributivo magari concentrando le risorse recuperate a favore di giovani e donne, le categorie più colpite dalla crisi insieme ai lavoratori a tempo determinato, in prospettiva di una riforma fiscale complessiva. Non condividiamo, tra le varie misure previste, la marcia indietro sul patent box – uno strumento efficace che finora ha funzionato bene – e la modifica della disciplina di rivalutazione dei beni di impresa, prevista dalla legge di bilancio. Abbiamo qualche perplessità anche sul provvedimento sulla concorrenza. Confidiamo in qualche rettifica durante l’iter di approvazione e chiediamo di essere ascoltati di più sui provvedimenti relativi a imprese e mondo del lavoro.