Moda, la Kiton di Ciro Paone emblema di successo taylor made

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La crisi morde ancora, ma il settore del luxury – specie all’estero – resiste e bene. A confermarci questa tesi  Andrea Cardinaletti, vice presidente della Ciro Paone spa Kiton, intervistato a margine del workshop “AGRO-INDUSTRIA, STORIE E STILI DI SUCCESSO”, parte del Progetto “Animazione territoriale e settoriale comparto Agroalimentare” promosso dal Gruppo Alimentare di Confindustria Salerno, finanziato dalla CCIAA Salerno e attuato da POLARIS.

 

Dottor Cardinaletti, la filiera italiana del lusso – di cui Kiton è sicuramente uno dei player più accreditati –  che momento attraversa? Le aziende del settore resistono sui mercati o anch’esse cominciano a vedere ridotti i propri fatturati?
La Kiton – azienda di cui sono attualmente vice presidente, fondata nel 1968 da Ciro Paone – rientra merceologicamente parlando nel segmento del lusso che comprende un portafoglio di prodotti molto diversificato, dai gioielli agli orologi, dall’abbigliamento agli accessori, fino ai ristoranti e ai resort. Questa catalogazione stereotipata però ci sta un po’ stretta, perché oltre ad agire sulle leve della differenziazione, dell’innovazione, della qualità del prodotto e della forza del marchio, la Kiton può vantare su di un ingrediente anch’esso di pregio ma non così comune: la forza della tradizione. Tornando al settore del lusso, se in Italia vive un momento di grande contrazione, il segmento del luxyury in controtendenza è in una fase di crescita nel resto del mondo. La nostra azienda pertanto continua a riscuotere ottimi risultati sui mercati di oltre confine.

ANDREA CARDINALETTI WEBMa oggi cosa vuol dire “Made in Italy”?
In maniera sintetica, il Made in Italy è una definizione che ingloba in sé concetti come  territorio, radici e tradizioni. Di rimando, difendere oggi il Made in Italy equivale a dare spessore e coerenza ai talenti che lo rendono unico e irripetibile, senza entrare in competizione con chi sviluppa inclinazioni che non ci sono proprie.

 

Tornando proprio  alla scena competitiva, però, di recente il presidente della Camera della Moda Italiana Mario Boselli ha lanciato un vero e proprio allarme rimarcando che «nei prossimi 5 anni ci saranno 400 milioni di nuovi consumatori cinesi che dalle campagne arriveranno nelle città», pronti a consumare prodotti cinesi – e non italiani – considerato che il loro Paese va sempre più attrezzandosi per migliorare la propria qualità produttiva verso il lusso. Il nostro Made in Italy è quindi davvero in pericolo?
Sarà in pericolo se accetteremo il compromesso, ovvero se sceglieremo di disperdere la nostra identità e le nostre peculiarità. Duemila anni di storia non si inventano, né si copiano, né – ancora – si replicano così facilmente. Noi italiani abbiamo nel nostro DNA un processo, un vissuto per meglio dire, inimitabile. Ed è questo corredo genetico a rendere i nostri prodotti sì realizzabili ovunque, ma di certo non copiabili. Un prodotto come il nostro non è solo un oggetto materiale, ma una vera e propria esperienza. Personalmente non temo l’invasione dei nuovi mercati quanto piuttosto l’incapacità da parte delle aziende italiane di tenere fermi i nostri valori distintivi.

 

Potrebbero essere quindi gli stessi imprenditori italiani in qualche misura a “svendersi”?
Il timore è fondato. Pur di entrare nel compromesso della globalizzazione o della crescita ad ogni costo, potremmo rischiare di perdere la nostra autenticità e con essa, pertanto, il nostro vero valore.

Visto che sulle grandi quantità non siamo mai stati forti, allora saranno ancora una volta le produzioni di nicchia a salvarci?
Ancora una volta per vincere sarà necessario oggi più di ieri investire su noi stessi, valorizzare le relazioni con i clienti e puntare al miglioramento continuo.

Lei alla Kiton sta curando il passaggio generazionale, un momento solitamente delicato nella vita di un’azienda. Come procede?
Il momento della successione alla Kiton ha tutte le carte in regola per rivelarsi un’importante occasione di evoluzione, rinnovamento e crescita dell’impresa proprio perché si è pensato opportunamente di gestirlo.  I problemi sorgono infatti quando tale processo non viene governato. Nel caso della Kiton la seconda generazione sta dimostrando grande passione e senso di responsabilità nel proseguire il progetto avviato dal fondatore Ciro Paone nel 1968. È pur vero che il successo non si trasmette geneticamente, ma i successori del cavaliere Paone stanno dimostrando con forza di avere nel sangue questo progetto lasciando ben sperare nel futuro dell’impresa stessa.