Infortunio sul lavoro e responsabilità del datore di lavoro e del RSPP

Un caso esemplare dalla recente giurisprudenza relativo a una violazione di norme di prevenzione rientrante nella responsabilità dell’imprenditore e del responsabile per la sicurezza

Il datore di lavoro in base alle statuizioni dell’art. 2087 c.c. e del D.Lgs. 81/08 è costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale dei prestatori di lavoro per cui, qualora non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo che si verifichi ai danni del lavoratore o di terzi gli viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’art. 40, comma 2, codice penale

che prevede «non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo».

Il datore di lavoro, pertanto, ha il dovere di accertarsi del rispetto dei presidi antinfortunistici e che il lavoratore possa prestare la propria opera in condizioni di sicurezza, vigilando che tali condizioni siano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera. 

Tenuto conto dell’incremento degli infortuni sul lavoro verificatisi nel 2015, dopo anni in cui si era riscontrato un trend positivo, sembra lecito chiedersi quale importanza venga data dagli imprenditori-datori di lavoro al rispetto delle norme sulla sicurezza in azienda dopo che 6 anni fa il legislatore ha inserito l’art. 25 septies nel D.Lgs. 231/01 con le fattispecie di omicidio colposo e le lesioni personali colpose commesse in violazione della normativa a tutela della sicurezza sul lavoro tra i reati presupposto in materia di responsabilità amministrativa degli enti. Inoltre, considerato il disposto dell’art. 18 lettera f del T.U. Salute e Sicurezza sul lavoro che tra gli obblighi del datore indica espressamente «richiedere l’osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti e delle disposizioni aziendali in materia di sicurezza e igiene del lavoro…» quanti imprenditori hanno inserito nel codice disciplinare tra le infrazioni contestabili ai dipendenti il mancato uso dei dispositivi di protezione individuale previsti dall’art. 74 del T.U.?

La responsabilità del datore di lavoro di cui all’art. 2087 c.c. è di natura contrattuale e pertanto, ai fini del relativo accertamento, incombe sul lavoratore che lamenti di aver subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro elemento, mentre grava sul datore di lavoro, una volta che il lavoratore abbia provato tali circostanze, l’onere di provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, ovvero di aver adottato tutte le cautele necessarie per impedire il verificarsi del danno.

Il datore di lavoro è sempre responsabile qualora si verifichi un infortunio sul lavoro?

La Cassazione sezione lavoro con la sentenza n. 25395/2015 sostiene che «ai fini dell’applicazione dell’art. 2087 cod. civ., in forza del quale è configurabile la responsabilità del datore di lavoro in relazione ad un infortunio che sia riconducibile ad un comportamento colpevole del datore, alla violazione di uno specifico obbligo di sicurezza da parte dello stesso o al mancato apprestamento di misure idonee alla prevenzione di ragioni di danno per i lavoratori dipendenti, non può esigersi dal datore di lavoro la predisposizione di accorgimenti idonei a fronteggiare cause d’infortunio del tutto imprevedibili…».
La responsabilità del datore di lavoro non esclude però la concorrente responsabilità del responsabile del servizio di prevenzione e protezione.
Anche il RSPP, che pure è privo dei poteri decisionali e di spesa (e quindi non può direttamente intervenire per rimuovere le situazioni di rischio), può essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio ogni qualvolta questo sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detto pericolo.

Inoltre qualora il RSPP, agendo con imperizia, negligenza, imprudenza o inosservanza di leggi e discipline, abbia dato un suggerimento sbagliato o abbia trascurato di segnalare una situazione di rischio, inducendo, così, il datore di lavoro a omettere l’adozione di una doverosa misura prevenzionale, sarà chiamato a rispondere insieme a questi dell’evento dannoso che ne è derivato. Nel corso di un recente convegno ho esaminato alcuni casi decisi negli ultimi mesi dal giudice di legittimità da cui è emersa la responsabilità del datore di lavoro, del RSPP e di altre figure su cui gravano obblighi previsti dal D.Lgs. 81/2008.

 

Rinviando i lettori a una disamina più completa visibile sul blog in questa sede sintetizzo il caso deciso dalla Cassazione Penale, Sez. IV, con la sentenza n. 18444/2015 relativa all’infortunio mortale di un lavoratore per cui sono stati condannati i vertici dell’azienda e un RSPP. Il lavoratore deceduto era alle dipendenze della società da soli 13 giorni come addetto al funzionamento di una pressa per scarti.
L’incidente si era verificato perché non era stato assicurato il corretto funzionamento della pressa. Si configurava una violazione di norme cautelari rientranti nella sfera di rischio dei responsabili della società tra le cui attribuzioni vi è quella di assicurarsi che le macchine operino in condizioni di sicurezza, a garanzia di tutti i lavoratori e anche dei terzi. Venivano imputati di omicidio colposo il presidente del consiglio di amministrazione della s.r.l.- datore di lavoro, un componente del consiglio di amministrazione con delega alla gestione del personale, presente sul luogo di lavoro al momento dei fatti e il responsabile del servizio di prevenzione e protezione. All’esito dell’istruttoria il Tribunale di Gela, disattendendo le risultanze delle perizie tecniche, riteneva che la posizione in cui era stato rinvenuto il lavoratore era la conseguenza di un tragico incidente collegato all’uso della pressa per cui un’altra persona, rimasta ignota, non accorgendosi della sua posizione l’aveva messa in moto salvo poi, resosi conto di quanto stava accadendo, azionare il tasto di emergenza bloccando così la macchina.
Il giudice siciliano aveva appurato che la pressa doveva e poteva operare solo con entrambi gli sportelli, superiore e inferiore, chiusi in quanto i contatti elettrici di comando entravano in azione solo a seguito della chiusura.
Il dispositivo di sicurezza era però stato visibilmente manomesso tramite un fil di ferro per funzionare con uno o entrambi gli sportelli aperti. Era stato accertato per testi infatti che la pressa veniva generalmente utilizzata con gli sportelli aperti per velocizzare le operazioni di lavoro. Il Tribunale osservava che il fatto che la pressa era stata con certezza manomessa nei suoi dispositivi di sicurezza, e l’esistenza di una prassi abituale per cui la lavorazione avveniva in tal modo, erano circostanze di importanza fondamentale nell’accertamento della responsabilità e del nesso di causalità.

 

L’assenza della manomissione e il corretto funzionamento del dispositivo di sicurezza avrebbero impedito che la pressa potesse essere attivata con lo sportello superiore aperto, con ciò determinando una condizione fondamentale perché si realizzasse l’evento, operante come concausa anche in presenza dell’intervento di una terza persona, non essendo qualificabile quest’ultimo quale causa eccezionale e atipica da sola sufficiente a causare l’evento.
La responsabilità degli imputati, rilevavano i giudici di legittimità confermando le osservazioni dei giudici del merito, derivava dal fatto provato che la pressa operava abitualmente in condizioni di palese pericolosità ovvero con gli sportelli aperti, la macchina non rispondeva alle previsioni di sicurezza ed era abitualmente adoperata in tal modo, questa era circostanza nota o facilmente riscontrabile e pertanto riferibile agli imputati per violazione evidente del dovere di vigilanza.
Con riferimento alla materia degli infortuni sul lavoro si è fatto riferimento, specie per quanto riguarda il cosiddetto comportamento abnorme del lavoratore infortunato, alla nozione diarea di rischio nel senso che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità peresclusione dell’imputazione oggettiva dell’evento solo quando il comportamento del lavoratore e le conseguenze che ne discendono presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità, dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive organizzative ricevute. La possibilità che un terzo, per errore o disattenzione, prema il pulsante di avvio è del tutto prevedibile, trattandosi di un banale errore umano, qualora il datore di lavoro abbia omesso di predisporre le opportune misure antinfortunistiche e tale omissione abbia consentito il verificarsi di un infortunio sul lavoro, l’attività imprudente della parte lesa o di terzi non può considerarsi una causa sopravvenuta, sufficiente da sola a determinare l’evento.