Delega fiscale: il progetto di legge di riforma del processo tributario/PARTE TERZA

Pubblichiamo qui, di seguito, la terza tranche di proposte di modifica e integrazione dell’intervento legislativo di riforma del processo tributario voluto dal Senator Giorgio Pagliari

Art. 79, comma 5, ed art. 99, comma 2 – Identico principio processuale

L’art. 79, comma 5, del progetto di legge allegato molto opportunamente integra l’attuale art. 45, comma 3, D.Lgs. n. 546/1992 perché prevede che: «Sopravvivono all’inefficacia degli atti conseguente all’estinzione del processo soltanto le sentenze o le parti delle sentenze passate in giudicato» (artt. 310 e 338 c.p.c.).
Questo importante principio evita che l’estinzione del giudizio in appello renda inoppugnabile sempre l’atto contestato, con grave danno per il contribuente.

L’art. 99, comma 2, dell’allegato progetto di legge, invece, ripetendo quanto previsto dall’art. 393 c.p.c. e dall’art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546/92, prevede che: «Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l’intero processo si estingue».
Secondo me, questa disposizione deve essere corretta ribadendo lo stesso principio dell’art. 79, comma 5, e cioè che sono salvi gli effetti delle sentenze, o parti delle sentenze, passate in giudicato.

La coerenza del principio anche nei giudizi in Cassazione è giustificata dalla particolare struttura del processo tributario, che ha sempre ad oggetto un’azione di annullamento contro ogni atto autonomamente impugnabile (artt. 22, comma 1, e 43), che potrebbe sempre rivivere in caso di estinzione del processo per inattività della stessa amministrazione finanziaria.
Infatti, in base all’attuale formulazione, se il ricorso per Cassazione proposto, per esempio, dall’Agenzia delle entrate fosse accolto con rinvio (art. 383 c.p.c.), la stessa Agenzia non avrebbe alcun interesse processuale a riassumere nei termini il giudizio, in quanto l’estinzione dell’intero processo renderebbe definitivamente valido l’avviso di accertamento contestato dal contribuente.

E questo assurdo giuridico-processuale non deve essere consentito perché lede il principio della parità delle parti (art. 111, comma 2, Cost.), in quanto una parte (l’ufficio fiscale) avrebbe una posizione di vantaggio sul contribuente, perchè, per assurdo, una sua inattività avrebbe effetti favorevoli per l’ufficio stesso e sfavorevoli sempre per l’inerme contribuente.
Di conseguenza, secondo me, la norma dell’art. 393 c.p.c. non è compatibile con le norme del processo tributario (art. 1, comma 3), tenuto conto della particolarità dello stesso (artt. 22, comma 1, e 43) e della specifica posizione processuale delle parti contendenti (uffici fiscali e contribuenti), titolari di interessi contrapposti (pubblici e privati), da portare avanti con strategie e oneri processuali contrastanti.
Oltretutto, la nuova, moderna e condivisibile disciplina processuale della sezione tributaria della Corte di Cassazione (Titolo III, artt. 97-99) può ben giustificare la correzione dell’art. 99, comma 3, nel senso sopra suggerito, senza dover necessariamente e acriticamente ripetere l’art. 393 c.p.c. (o l’art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992).

17)    Art. 84 – Art. 69 – Art. 14
L’art. andrebbe corretto nel senso di ritenere applicabile l’art. 337, comma 2, c.p.c. «Quando l’autorità di una sentenza è invocata in un diverso processo, questo può essere sospeso se tale sentenza è impugnata».
Quanto sopra in coerenza con quanto esposto al n. 14 del presente articolo, circa l’applicazione dell’art. 295 c.p.c.. Quando l’autorità della sentenza, avverso la quale sia stata proposta impugnazione, sia invocata in un diverso processo, il giudice, ove non ritenga di esercitare la facoltà di sospensione, a norma dell’art. 337, comma 2, c.p.c., può risolvere direttamente la controversia attribuendo alla pronunzia, la cui autorità è invocata, quell’influenza che, in via provvisoria, l’ordinamento le attribuisce, ma in tal caso ha l’obbligo di spiegare le ragioni che lo inducono, per sua libera valutazione, a condividere o meno gli accertamenti nella stessa contenuti, potendo, però, incorrere, in caso contrario, nel vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia (Cass., sent. n. 10523/1997).

18)    Art. 108, comma 2 – Art. 21
I rimborsi d’imposta devono essere disposti senza attendere il passaggio in giudicato della sentenza. Questo, perché l’ufficio può chiedere sempre il pagamento provvisorio durante il processo tributario, in base alle singole leggi d’imposta (oggi, art. 68 D.Lgs. n. 546/1992); quindi, non è giusto che, invece, il cittadino-contribuente debba attendere il passaggio in giudicato della sentenza, dopo molti anni dalla richiesta, con la corresponsione, peraltro, di interessi inferiori a quelli che gli uffici fiscali richiedono in caso di inosservanza delle disposizioni tributarie.

19)    Art. 118, comma 1, e Art. 119, commi 1 e 3 (erroneamente scritto 2)  
È importante aver previsto la possibilità di conciliazione sia in primo che in secondo grado (art. 119, comma 1). Secondo me, però, per rendere ancora più accessibile l’istituto al contribuente non deve prevedersi alcun termine perentorio di 10 giorni liberi prima dell’udienza fissata per la discussione, ma si dovrebbe consentire la possibilità di conciliare anche nel corso della prima udienza, con la possibilità da parte dei giudizi tributari di concedere un termine non superiore a 60 giorni per la formazione di una proposta conciliativa (così come, oggi, previsto dall’art. 48, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992). La conciliazione inoltre dovrebbe essere esperita d’ufficio anche dai giudici tributari e, infine, il collegio non dovrebbe mai entrare nel merito della conciliazione ma rigettarla soltanto se è manifestamente inammissibile (così come, oggi, previsto dall’art. 48, comma 5, D.Lgs. n. 546/1992) e mai per infondatezza (art. 119, comma 3, erroneamente scritto 2).

20)    Art. 36 – Art. 37 – Art. 38 – Art. 39 – Art. 40
Gli articoli succitati devono tener conto della prossima disciplina dell’utilizzo degli strumenti informatici e telematici nel processo tributario, in attuazione di quanto previsto dall’art. 39, comma 8, D.L. n. 98 del 06/07/2011 convertito dalla Legge n. 111 del 15/07/2011, secondo cui il regolamento emanato dal Ministro dell’economia e delle finanze, sentito il Centro nazionale per l’informatica nella P.A. (oggi Agenzia per l’Italia digitale) ed il Garante per la protezione dei dati personali, introduce disposizioni per il più generale adeguamento del processo tributario alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, attuando i principi previsti dal D.Lgs. n. 82 del 07/03/2005 e successive modificazioni.
A tal proposito, il Consiglio di Stato – Sezione Consultiva per gli atti normativi, nell’adunanza di Sezione del 04 luglio 2013 ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni allo schema di regolamento recante la disciplina sull’uso di strumenti informativi e telematici nell’ambito del processo tributario.

Le logiche e i principali contenuti dello schema di regolamento composto da 20 articoli possono così essere riassunti:
–    il processo tributario telematico rappresenta una facoltà e non un obbligo, in forza del principio generale della libertà delle forme di cui all’art. 121 c.p.c. e per l’equiparazione, a tutti gli effetti di legge, dei documenti informatici e telematici a quelli tradizionali, avvenuta con la Legge n. 59/97, il DPR n. 445/2000 ed il codice dell’Amministrazione digitale di cui al D.Lgs. n. 82/2005;
–    il processo tributario iniziato in modalità telematica deve proseguire nella medesima forma, sia per il primo grado di giudizio che per il successivo grado di appello. Ciò per rafforzare il principio di unicità di scelta, ad eccezione dell’ipotesi di conferimento dell’incarico ad altro difensore o di specifiche difficoltà di ordine tecnico, laddove è consentita la modalità cartacea ordinaria;
–    l’indicazione dell’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) contenuta nell’atto introduttivo del giudizio tributario costituisce elezione del c.d. “domicilio digitale”;
–    circa il momento di perfezionamento delle  notifiche e comunicazioni a mezzo PEC, gli effetti della notificazione sono ricollegati, per quanto riguarda il notificante, al compimento delle formalità a lui imposte dalla legge, per quanto riguarda, invece, il destinatario, i termini processuali decorrono da quando lo stesso ne ha avuto conoscenza.

21)    Art. 121, comma 3
Bisogna cancellare il terzo comma dall’art. 121 “Anche sulle somme risultanti dall’applicazione delle sanzioni sono dovuti gli interessi legali” perché in netto contrasto con l’art. 2, comma 3, D.Lgs. n. 472 del 18 dicembre 1997, che dispone correttamente “La somma irrogata a titolo di sanzione non produce interessi”. Oltretutto, il Parlamento ha chiesto al Governo di impegnarsi «a ridurre l’entità degli interessi di mora gravanti sul contribuente in caso di ritardato pagamento e, in ogni caso, ad eliminare ogni forma di anatocismo derivante dai meccanismi di applicazione di interessi sulle sanzioni e sugli interessi di mora>> (Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari – XVII Legislatura – di  mercoledì 22/05/2013, pag. 53).

22)    NOMINA DEI GIUDICI TRIBUTARI
Come precisato nella relazione illustrativa, nel testo non è contenuta la normativa sulla composizione organizzativa dei giudici tributari e delle relative segreterie, così come oggi vigente (D.Lgs. n. 545 del 31 dicembre 1992), la cui modificazione, che in ogni caso non incide in alcun modo sull’assetto disciplinare contenuto nel progetto di legge, dipende essenzialmente da future scelte di politica-economica.
Secondo me, sarebbe opportuno intervenire subito sull’ordinamento dei giudici tributari che, tenuto conto della specificità e complessità della normativa tributaria, devono essere:
–    giudici professionali (anche monocratici) e a tempo pieno, tanto di provenienza togata quanto di provenienza laica, peraltro sempre reclutabili per concorso pubblico per titoli ed esami (scritti ed orali); inoltre, devono scrupolosamente rispettare le ipotesi di astensione previste sia dall’art. 51, comma 1, c.p.c. sia dall’art. 323 c.p., come opportunamente rilevato dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 19704 del 13 novembre 2012;
–    inseriti in sezioni specializzate di Tribunali e Corti di Appello, per evitare eventuali eccezioni di incostituzionalità circa i giudici speciali (art. 102, comma 2, e Sesta disposizione transitoria della Costituzione); infatti, possono istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura (art. 102, comma 2, secondo periodo, della Costituzione);
–    pagati adeguatamente per la delicata e difficile professione che svolgono e non essere umiliati, come avviene oggi, in quanto il Ministero dell’Economia e delle Finanze (peraltro una delle parti in causa!) non corrisponde loro alcun compenso per le sospensive e soltanto la misera cifra di euro 25 netti (!!) per ogni sentenza depositata, peraltro corrisposta senza interessi dopo molti mesi;
–    infine, nominati con decreto del Presidente della Repubblica su proposta del Ministro della Giustizia, non come avviene oggi su “proposta del Ministro delle finanze” (art. 9, comma 1, D.Lgs. n. 545/1992), che è una delle parti in causa; solo in questo modo può rispettarsi il dettato costituzionale dell’art. 111, comma 2, “davanti a giudice terzo e imparziale”, che, come tale, deve anche apparire agli occhi dei contribuenti.

 

Quanto sopra l’ho evidenziato anche in un mio  progetto di legge di riforma del processo tributario, che è consultabile sul mio sito (www.studiotributariovillani.it) da molti anni.
Solo in questo modo si può creare un serio sistema giudiziario tributario in grado di garantire l’effettività del diritto di azione (art. 24 della Costituzione) e la certezza del diritto, nel rispetto scrupoloso dell’art. 111, comma 2, della Costituzione, senza:
–    l’invocazione dell’interesse fiscale, entità misteriosa e sfuggente, che si concreterebbe non nell’applicazione ragionata e obiettiva della norma, ma nell’agevolazione tendenziale dell’attività esattiva ovvero dell’incasso in ogni caso giacchè, di contro, è doveroso il rispetto del principio costituzionale di capacità contributiva (art. 53, comma 1, della Costituzione);
–    la sperequazione, che lede la parità della parti nel processo tributario, nella disciplina della riscossione provvisoria, in corso di lite, posto che oggi non é consentito al contribuente di pretendere il pagamento interinale in forza di una sentenza non definitiva (salvi,  naturalmente, i rimborsi ai quali peraltro, di fatto, gli uffici decidono di non opporre resistenze defatiganti-caso molto raro!), come invece è permesso all’amministrazione finanziaria.

23)    MEDIAZIONE TRIBUTARIA DA RISCRIVERE
Sulla mediazione tributaria si è in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale, a seguito delle condivisibili ordinanze di rinvio delle seguenti Commissioni Tributarie Provinciali di Campobasso (ordinanza n. 75/2/2013); di Benevento (ordinanza n. 127/7/2013); di Perugia (ordinanza n. 18/2/2013).
Intanto, però, l’ex Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha giustamente dichiarato che «prevedere, in via generale e a pena di inammissibilità, un ulteriore passaggio amministrativo (il reclamo) presso lo stesso ente che ha emesso l’atto, quando l’ammontare dell’imposta controversa non superi i 20.000 euro (cioè nella stragrande maggioranza dei casi) appare poco razionale».
Se proprio si vuole mantenere l’istituto nell’ambito del processo tributario, a mio avviso:
–    l’organo della mediazione deve essere assolutamente estraneo alle parti, in quanto non si può ammettere, anche alla luce del diritto comunitario, che assuma la figura di mediatore una delle parti coinvolte nella controversia, sebbene costituito in un ufficio autonomo ma pur sempre interno all’amministrazione finanziaria;
–    questo organismo, veramente terzo, può essere o il giudice tributario oppure un organismo estraneo, composto da tre membri (un giudice, un professionista ed un rappresentante del fisco);
–    i tempi devono rispettare la ragionevole durata del processo (art. 111, comma 2, secondo periodo, della Costituzione); oggi, invece, è possibile instaurare la causa solo dopo 286 giorni, ai quali vanno poi aggiunti gli eventuali 30 giorni per la costituzione in giudizio, per cui il processo si instaura oltre 9 mesi dopo la notifica dell’atto da impugnare, con gravi problemi per le sospensive;
–    la sospensione della riscossione deve sempre essere concessa d’ufficio, per dare modo alle parti di discutere serenamente senza l’assillo di Equitalia S.p.a. (agente della riscossione); oggi, la norma è incostituzionale perché preclude l’accesso alla tutela cautelare giudiziale per tutto il periodo occorrente per l’obbligatorio esperimento della procedura;
–    infine, non si deve prevedere alcuna ipotesi di inammissibilità, che, come oggi, rende definitivo l’atto contestato, ma al limite considerare la mancanza o tardività dell’istanza di mediazione una ipotesi di semplice irregolarità formale, che non pregiudica affatto la riproposizione senza rendere definitivo l’atto fiscale impugnato oppure, al limite, come ipotesi di improcedibilità fino al completo esaurimento della procedura di reclamo, in modo da consentire al ricorrente – reclamante di depositare il ricorso senza attendere il rigetto del reclamo ovvero il compimento del termine per il procedimento, così da poter ottenere un vaglio del giudice sull’istanza di tutela cautelare contenuta nel ricorso (come, peraltro, aveva stabilito la Corte Costituzionale con la sentenza n. 366 del 24 luglio 1998 con riferimento ai vecchi ricorsi avverso gli atti dei soppressi Centri di Servizio).

È giusto che il legislatore contrasti l’evasione fiscale, potenziando gli istituti dell’accertamento (con gli studi di settore, il redditometro e le indagini finanziare e bancarie) e della riscossione; questa corretta impostazione, però, non deve limitare o compromettere il diritto di difesa del contribuente, costituzionalmente protetto, attraverso istituti-trabocchetto per incassare a tutti i costi somme che non sarebbero dovute. La lotta all’evasione fiscale non deve mai ledere o limitare il diritto di difendersi dinanzi ad un giudice terzo ed imparziale (anche all’apparenza).