David Bowie, il dio del rock è vivo

d bowieL’estetica del trasformismo è solo un lato, di certo il più immediato ed evidente, dell’universo Bowie. Questo dandy indecifrabile e inquieto continua tuttora ad essere un punto di riferimento, un modello assoluto di ispirazione per giovani musicisti, attori, stilisti, fotografi

Cominciamo con una piccola “offesa”: relegare David Bowie come autore legato al Novecento è sicuramente un modo per limitarlo! Ma la nostra non vuol essere una “diminutio”. Il nostro vuol essere un vigoroso sottolineare che la sua forza propulsiva, produttiva e visionaria è completamente dentro i canoni e le matrici (“suoni e visioni”) del Novecento. Quindi non sembri un mortificare un autore che ancor oggi – seppur tra inevitabili alti e bassi – è assolutamente denso e centrale.

 

Bowie calca le scene mondiali da mezzo secolo, ha ricoperto con navigata consapevolezza ruoli da mimo, attore, modello, interprete, sperimentatore del suono e della visione, da acutissimo manager di se stesso. Amico e sodale di tutti i grandi del suo tempo: Mick Jagger, Freddy Mercury, Annie Lennox, Lou Reed, John Lennon…Ha avvicinato (quasi) tutti i generi musicali, e alcuni ha contribuito a creali. Non dovesse bastare la complessa coesione tra Sound e Vision, ad ogni modo le canzoni sono lì a marcare la sostanza e a fare la differenza, impresse come un marchio nell’immaginario collettivo (per capire la sua opera ascoltate due lavori immensamente differenti “Warszava” e “Let’s dance”). E il catalogo, anche in questo caso, è piuttosto lungo, largo, volutamente contraddittorio. Insomma il “dio del rock” (come autoironicamente spesso si è definito Bowie) continua a vivere e a segnare il tempo a venire. Figura totalizzante e imprevedibile, assolutamente egocentrica. Emblema di libertà creativa, edonismo e decadenza. Simbolo di curiosità, angoscia espressiva, contaminazione, metamorfosi.

 

Personaggio complesso, globale, molteplice, sempre segnato e caratterizzato da quell’incessante ansia di percorrere (e precorrere) i tempi, di cavalcarli, di anticiparli a modo suo. Drammatico e pure ironico, personalissimo e pure fecondo di continue citazioni. Artista multimediale, dotato di un carisma senza precedenti, David Bowie è probabilmente l’unico, in un ambito artistico di massa come quello del pop, che si sia rivelato capace di diversificare e personalizzare finanche la percezione dei propri ammiratori: ogni fan possiede infatti un “suo” Bowie preferito, legato a un determinato attimo, a un colore, una foto, a un film, un videoclip, un album, un look, un movimento culturale, un sound, una copertina, uno stato d’animo. La proiezione o l’immagine mentale di Bowie che ogni singolo individuo custodisce sarà dunque diversa, almeno in parte, da quella custodita da qualcun altro; ogni brano dell’immenso puzzle bowiano è un corpo vivo, a se stante, e allo stesso tempo è associabile e intercambiabile con gli altri elementi del villaggio, le altre isole dell’arcipelago.
Non è dunque molto probabile che il fan dell’androgino Ziggy Stardust o del tormentato Thin White Duke sia poi riuscito a sopportare il Bowie platinato e danzereccio di metà anni Ottanta; così come è difficile che un raver ventenne, che nel 1997 si lasciava trasportare dal nevrotico electro-beat di Earthling, possa essersi fatto conquistare anche dalle folk songs del primissimo periodo o quello elettronico degli ultimi anni. La galassia – e qui ovviamente la metafora “spaziale” non è riportata casualmente – è potenzialmente infinita.

Ma l’estetica del trasformismo è solo un lato, di certo il più immediato ed evidente, dell’universo Bowie. Questo dandy indecifrabile e inquieto continua tuttora ad essere un punto di riferimento, un modello assoluto di ispirazione per giovani musicisti, attori, stilisti, fotografi. Bowie incarna e assorbe le ansie, le fascinazioni, gli eccessi e le debolezze del mondo dello spettacolo, e riflette, in una proiezione di carattere sociologico generale, le ossessioni di tutta la società occidentale post-bellica. Su chi sia in sostanza David Bowie, illustri critici ed effimeri pennivendoli di tutto il mondo si sono arrovellati, accapigliati, scontrati, incantati per quarant’anni. Oggi, in un bilancio forse più lucido e oggettivo, al di là dei gusti personali pare innegabile il riconoscimento di un suo ruolo essenziale nell’arte audiovisiva sperimentale contemporanea.

 

Sono in pochi ormai quelli che contestano ancora il suo status di innovatore, di sperimentatore e di precursore. Sì, perché nell’iconografia popolare contemporanea, Bowie è di certo tra i più amati, celebrati e riconosciuti come maestri e innovatori radicali che con strategica intelligenza hanno saputo amalgamare sperimentazione e pop. Avanguardia e mainstream. In fin dei conti fino all’ultimo “fedele” ai suoi “maestri” Andy Warhol, William Burroughs, Lindsay Kemp, Brian Eno.