CARILLO: «Il nostro festival un esempio di rigore e resistenza civile»

Il tema scelto quest’anno è di ascendenza pasoliniana. Rivoluzione come rivolta etica, felicità come fine ultimo dell’azione e della vita

 

Quota dieci: si celebra quest’anno il decennale dalla fondazione di Salerno Letteratura. Il tema scelto è di quelli eterni: la felicità, la rivoluzione. Che valore ha per il Festival questa accoppiata, è più una promessa o una ricerca?

Direi subito che il traguardo dei dieci anni, in un contesto come il nostro, non era affatto scontato e va dato merito alla meravigliosa struttura organizzativa del festival se si è potuto tagliarlo. Le direzioni artistiche sono sempre effimere. I direttori passano, talora, purtroppo, per motivi non belli. Ma se un festival continua comunque è perché poggia su basi solide, su un “cuore” che a Salerno è tutto al femminile. Il binomio felicità/rivoluzione è di ascendenza pasoliniana.

Ne facciamo un uso tutto sommato disincantato: nessuno, oggi, pensa seriamente a una rivoluzione prossima ventura, se per rivoluzione s’intende, letteralmente, il rovesciamento del quadro istituzionale, la modifica radicale dell’assetto costituzionale. Tuttavia, rivoluzione significa non rassegnarsi alle derive della società, in primo luogo quella censitaria; non accettare le disuguaglianze come una necessità di natura ma provare, piuttosto, a contrastarle. Rivoluzione, poi, vuol dire essenzialmente rivolta etica, tentativo di trasformazione di sé. La felicità? Obiettivo non facile. Ma l’etica antica ci aiuta, facendo della felicità il fine ultimo dell’azione e della vita. Ecco, aver escluso la ricerca della felicità dal nostro orizzonte morale è uno dei limiti più grandi di un certo pensiero moderno. Risponderei dunque che la felicità non è una promessa (chi dovrebbe promettercela?) ma una ricerca che dura l’intero arco della vita.

La prolusione è stata affidata alla giornalista e inviata di guerra Francesca Mannocchi che, con tanta competenza e sensibilità, sta raccontando l’attualità della guerra in Ucraina.

Francesca Mannocchi è una figura alla quale teniamo tantissimo. Rappresenta la sopravvivenza di un’etica sottesa al racconto del reale. In un tempo nel quale gli ambienti comunicativi sono sempre più tossici, e inficiati da manipolazioni violente, Mannocchi è una felice eccezione e un modello per chiunque voglia fare il reporter. La prolusione che ha scritto per noi e che ha donato al nostro pubblico è un piccolo gioiello anche di prosa: un ritmo di scrittura ormai riconoscibilissimo. Il che, in un festival che ha la letteratura nella propria ragione sociale, non è irrilevante.

Dieci le sezioni all’interno del Festival, scelte soprattutto in ragione di un’inclusività che tocca in primo luogo i contenuti. Quali sono state le novità e quali le conferme?

Mi fa molto piacere che si noti la prevalenza dei contenuti sulle contingenze editoriali. Questo è il tratto distintivo del nostro festival: privilegiare le idee, la coerenza interna ai percorsi, piuttosto che i diktat del mercato.

Non vogliamo essere una mostra del libro. Ce ne sono, e di ottime, ma noi preferiamo marcare – nel nostro piccolo e con qualche colpo di testa – una differenza. Di qui, un’accezione molto ampia di “letteratura”, che arriva a comprendere anche linguaggi diversi da quello della finzione. La filosofia o l’economia, per esempio, entrambe lette da un angolo visuale che tuttavia ne valorizzi gli aspetti in senso lato “narrativi”. Per non parlare dei classici, ai quali da tre anni dedichiamo una sezione apposita: a testimonianza dell’amore per opere e autori che non soffrono dell’usura del tempo ma che, come diceva Giuseppe Pontiggia, sono stati e sempre saranno i “contemporanei del futuro”.

Salerno Letteratura è anche scoperta della città. Tanti i nuovi luoghi ospiti quest’anno. Un messaggio di apertura e bellezza per i visitatori, ma forse anche per gli stessi cittadini salernitani?

Certo. Nessuna città è nota fino in fondo. Anzi, non c’è niente di meno noto del consueto, di ciò su cui gettiamo ogni giorno un’occhiata distratta. Trasformare un intero centro storico in una grande scenografia è un modo per scoprire una città mediterranea meravigliosa e sottovalutata.

Ma cos’è la letteratura in tempi come i nostri? E qual è il suo augurio per il futuro del festival?

La letteratura è una forma di conoscenza. Una chiave di accesso alla realtà. Si può arrivare alla verità mediante la finzione. Questa, per esempio, è la grande scommessa vinta da Proust. A Salerno Letteratura auguro un futuro. Una continuità che nasca da un’adesione sempre più convinta al nostro progetto da parte delle istituzioni pubbliche che lo hanno sostenuto finora. Questo festival dovrebbe essere un piccolo vanto per la città di Salerno, la regione Campania, ma forse anche per tutto il Paese. Credo sia un esempio di rigore e di resistenza civile al degrado, di fiducia nella potenza emancipatrice della bellezza. Anche questa è rivoluzione.