Vincenzo Boccia, presidente Confindustria: «L’impresa va ripensata»

vincenzo bocciaIl presidente dell’Associazione degli Industriali non ha dubbi sulla direzione da intraprendere: più capitale di rischio e meno di debito. Le aziende devono utilizzare strumenti finanziari alternativi ed essere meno “banco-centriche”. Vanno poi innovati i prodotti e i processi produttivi, modernizzata l’organizzazione del lavoro e il modo di stare sul mercato. In sintesi: «L’industria del futuro dovrà essere innovativa, sostenibile, interconnessa»

 

Lei viene dalla Piccola Industria, eppure ha lanciato un monito anche alle pmi invitandole a crescere…

Perché è una necessità di cui noi imprenditori per primi siamo consapevoli. L’industria del futuro richiede dimensioni diverse, più adeguate al nuovo contesto competitivo. Per questo dobbiamo crescere: e farlo non è solo un dovere verso le nostre imprese, è anche la nostra responsabilità verso il Paese. “Piccolo” non è bello in sé, è solo una fase nella vita di ogni impresa. Si nasce piccoli, ma si deve poi puntare a diventare grandi.

E come si diventa grandi?
Intanto con più capitale di rischio e meno di debito. Le imprese devono utilizzare strumenti finanziari alternativi ed essere meno “banco-centriche”. Poi dobbiamo innovare prodotti e processi produttivi, aprirci alle tecnologie digitali, modernizzare l’organizzazione del lavoro e il modo di stare sul mercato. In una parola, ripensare l’impresa, perché quello che andava bene un tempo, oggi non basta più. L’industria del futuro dovrà essere innovativa, sostenibile, interconnessa.

Un’industria 4.0…
Esatto. Per alcune imprese la quarta rivoluzione industriale è già una realtà, dobbiamo fare in modo che lo sia per moltissime altre. Per realizzare questo modello di industria serve una vera e moderna politica industriale. Una politica che i grandi paesi manifatturieri si sono dati, mentre da noi latita. Per questo abbiamo accolto con soddisfazione le dichiarazioni del Ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, alla nostra Assemblea del 26 maggio. Il tema è tornato all’attenzione di tutti: e questo grazie anche alla forte azione di Confindustria, che ha riportato la questione industriale al centro del dibattito pubblico. Abbiamo avviato alcune riflessioni e, prima dell’estate, intendiamo presentare un progetto nostro di politica industriale, condiviso con tutto il sistema.

In Assemblea, ai sindacati, ha mandato un messaggio chiaro: non vogliamo giocare al ribasso. Maggiore produttività per salari più alti.
La variabile decisiva per le nostre imprese è la produttività. E nell’andamento della produttività c’è la causa della lenta crescita italiana. Bastano due numeri: dal 2000 a oggi la produttività nell’intera economia è salita dell’1% in Italia, contro il 17% dei nostri maggiori partner europei. È evidente che il nodo da sciogliere è qui. Noi abbiamo sempre considerato lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzarlo. Dobbiamo legare il salario alla produttività, prevedere le giuste misure fiscali e innescare così un meccanismo virtuoso: maggiore competitività e più ricchezza redistribuita a famiglie e lavoratori. Una strada intrapresa con l’ultima Legge di Stabilità. Va rafforzata e resa strutturale.

Pensa che i sindacati si risiederanno al tavolo?
Credo che le relazioni industriali debbano contribuire in maniera decisiva alla crescita della ricchezza e del benessere di imprese e persone. Dobbiamo fare ogni sforzo perché diventino rapporti
tra soggetti consapevoli, che condividono gli obiettivi di sviluppo aziendale. Per questo motivo avevamo chiesto ai sindacati di riscrivere insieme le regole della contrattazione collettiva. A malincuore abbiamo accettato la loro decisione di arrestare questo processo per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro di vecchie regole, lasciando ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire qualche elemento di innovazione.
Ora, con i rinnovi in corso, non possiamo interferire. Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola proprio lo scambio “salario/produttività”, sperando di riuscire noi a scrivere le nuove regole invece che lasciarlo fare ad altri.

Da imprenditore del Sud quali pensa siano le ricette giuste per il nostro Mezzogiorno?
L’abbiamo detto chiaro in Assemblea: al Sud non servono politiche straordinarie. Servono politiche più intense, ma uguali a quelle che sono necessarie nel resto del Paese. La mia impresa è nata ed è tutt’ora presente a Salerno, ma io giro l’Italia e mi rendo perfettamente conto, incontrando gli imprenditori, che le problematiche che viviamo noi in azienda sono le stesse di molte altre imprese. Non serve parlare, ma fare in ogni regione d’Italia. In questo momento abbiamo la grande opportunità dei Fondi strutturali e dell’apertura dell’Europa a una maggiore flessibilità, sfruttiamola, invece di perdere al solito i treni che ci passano davanti.

A proposito di treni persi, in Assemblea avete chiesto con forza di proseguire sulla strada delle riforme, per alleggerire finalmente il Paese dalle zavorre che lo hanno immobilizzato in questi anni…
Le riforme sono la strada obbligata se vogliamo liberare il Paese da quei tanti veti e particolarismi che hanno contribuito a ingessarlo. In più, per Confindustria, le riforme sono quasi pane quotidiano: ci battiamo da sempre per cambiare e modernizzare il Paese. Un impegno che risale ai lontani anni ‘90. E adesso chiediamo il superamento del bicameralismo perfetto e dell’attuale Titolo V. Non può esistere un capitalismo moderno, senza istituzioni moderne. Ecco perché ci battiamo per le riforme, che non sono patrimonio dei partiti, ma dei cittadini. Non hanno nomi o colori politici, ma solo argomenti: se sono validi e condivisi, li sosteniamo.

In Assemblea ha voluto intervenisse il Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini: perché?
Imprese e cultura sono molto più vicine di quanto si creda. E noi imprenditori crediamo che la cultura sia motore di sviluppo, umano ed economico. La cultura emoziona, accende il fuoco dell’industria
creativa. E nessuna impresa al mondo ha la nostra creatività. Nessuna è alfiere e sinonimo di qualità e bellezza, come il made in Italy. Il nostro Paese suscita ovunque un sentimento di amore. Dobbiamo attrezzarci per accogliere più visitatori con un’offerta all’altezza delle loro aspettative, che unisca servizi e prodotti, facendo leva sul marketing e i marchi e su quel Brand Italia che ha un potenziale enorme. Saremmo folli a non scommetterci sopra.