Una storia del cinema underground

movie-projector-55122 960 720 copiaNegli anni Settanta in Italia si sviluppa il “fenomeno video”. Un nuovo strumento che accattiva artisti, poeti, registi e musicisti

 

Nell’ottobre del 1967 il Filmstudio apre a Roma la prima saletta (lo studio 1) con l’obiettivo di far conoscere il New American Cinema, il cinema indipendente italiano e quello europeo e anche i film delle avanguardie storiche. Il 1967 è anche l’anno di nascita della Cooperativa del Cinema Indipendente. La Cooperativa assume il carattere di un gruppo informale che non solo riesce a mantenere i contatti tra i vari film-makers italiani ma anche ad ampliare il numero degli associati, grazie soprattutto all’instancabile Baruchello.

 

In queste occasioni i cineasti indipendenti italiani si sono rivelati più radicali del gruppo inglese e di quello tedesco, che avevano già costituito solide realtà organizzative, ma anche dello stesso gruppo del New American Cinema. A partire dal ’74-’75, per una decina d’anni, sarà il Filmstudio che si prenderà cura di distribuire un buon numero di “classici” dell’underground italiano, per iniziativa prima di Annabella Miscuglio, che in quel periodo aveva creato una piccola struttura di “distribuzione alternativa”, e poi, dal 1978, di Armando Leone.

 

Nel dicembre ’67 l’underground italiano ha anche la sua rivista: Ferrero, un cineasta di Torino, fonda Ombre elettriche che teorizzerà “il cinema della liberazione e della rivolta” ma che avrà vita breve. Verso la fine degli anni Sessanta assistiamo alla nascita di quella particolare ricerca visiva che viene prima definita “cinema dei pittori”, poi “cinema d’artista”, includendo film di scultori, architetti, musicisti e performers. In quegli anni pittori come Schifano, Angeli, Gioli, Nespolo, influenzati dalle esperienze dei cineasti del New American Cinema sentono l’esigenza di uscire dalle gallerie per impadronirsi di nuovi spazi di ricerca e sviluppare una riflessione maggiormente approfondita sugli strumenti del proprio operare artistico. Molto sentita, dopo l’esplosione del ’68, era l’esigenza di aprirsi anche in modo nuovo al sociale e al politico.

 

Contemporaneamente in Italia in questi anni si sviluppa il “fenomeno video”. Un nuovo strumento che accattiva artisti, poeti, registi e musicisti. Negli anni Settanta non è facile nemmeno la circolazione di questi film sperimentali, a dispetto del circuito attivissimo dei cineclub, collettivi e cooperative cinematografici sparsi un po’ dappertutto. Ci vorrà del tempo per arrivare alla produzione su larga scala di videoproiettori di buona qualità da impiegare nei locali pubblici.

 

Tuttavia il cineasta Alberto Grifi realizza, tramite il “vidigrafo”, strumento costruito e inventato da lui stesso, il film Anna (1972-1975). Questa nuova macchina era in grado di trascrivere il video nuovamente su pellicola 16mm, in modo da poterlo proiettare poi nelle sale cinematografiche. Il film è girato in video e proprio per questo risulta trasformato alla radice. Anna si rivela una metafora potente, in grado di esemplificare il tipo di situazione innescata dal video e dal suo linguaggio in un contesto visivo dominato da altri media. Realizzato in co-regia con Massimo Sarchielli, Anna diventerà un cult movie della cultura alternativa post sessantottesca. Verrà inoltre presentato al festival di Berlino e alla Biennale di Venezia nel 1975, a Cannes nel 1976. Il progetto del film parte con pochissimi mezzi, grazie all’aiuto concreto di personaggi come Rossellini, ma durante la difficoltosa lavorazione Grifi e Sarchielli vengono a sapere che a Roma si possono trovare dei videoregistratori, così approfittano subito della possibilità di lavorare a costi notevolmente inferiori rispetto al cinema e alle sue troupe poderose. Simonetta Fadda definisce il film di Grifi e Sarchielli un “film verità”, innanzitutto perché il personaggio di Anna è reale. Anna è una 16enne che Mario Sarchielli incontra nei pressi di Piazza Navona a Roma; una ragazza problematica, incinta e sotto l’effetto costante di stupefacenti. Figlia di immigrati sardi in Francia, la ragazza era scappata da diversi riformatori. L’attore decide di prendersi cura di lei e portarla a casa. Inizia subito a prendere appunti sui comportamenti della ragazza, fino al momento in cui decide di riprenderla in video per girare un film. La vita vera diventa scena!

 

Adriano Aprà nel suo libro Fuori norma: “la via sperimentale del cinema italiano” sottolinea come il film di Grifi e Sarchielli «va visto oggi, in una prospettiva storica, come il punto di arrivo, ma anche come la fine, di una esperienza underground che aveva caratterizzato la fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta».