Trasferimento del lavoratore: quando non vi è abuso da parte del datore di lavoro?

La condotta è legittima se eseguita in piena trasparenza, correttezza e buona fede
La Corte di Cassazione – con sentenza n. 15885 del 15 giugno 2018 – si è pronunciata sul trasferimento di alcuni lavoratori, stabilendo i criteri in base ai quali quest’ultimo non costituisce un abuso del diritto da parte del datore di lavoro.

Il fatto.

Undici lavoratori, dipendenti di una Società operante nel settore dell’ingegneria e dell’impiantistica, adivano la Corte di Appello di Roma per chiedere la riforma della sentenza pronunciata dal Tribunale di Frosinone che aveva rigettato la loro domanda di illegittimità dei licenziamenti disciplinari comminati dalla Società in seguito al rifiuto di ottemperare all’ordine di trasferimento in altre sedi imposto dal datore di lavoro. Nella richiesta di riforma della sentenza di primo grado, i dipendenti eccepivano la violazione dei principi di correttezza e buona fede da parte del datore di lavoro, in quanto quest’ultimo avrebbe forzato la scelta dei lavoratori, prospettando due alternative.

Nello specifico: il trasferimento presso la nuova sede produttiva, dislocata lontano e in luogo disagiato rispetto alla unità operativa dove operavano i dipendenti, oppure la sottoscrizione di un verbale di conciliazione tramite il quale veniva corrisposta una indennità risarcitoria a fronte dell’accettazione del licenziamento.

La Corte di Appello di Roma non ha ravvisato alcuna violazione dei principi succitati, in quanto «la circostanza che il trasferimento fosse stato disposto in sedi lontane e disagiate non implicava di per sé, in assenza di ulteriori allegazioni, la illegittimità del provvedimento».

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso promosso dagli 11 lavoratori stabilendo che «l’abuso del diritto non è ravvisabile nel solo fatto che una parte del contratto abbia tenuto una condotta non idonea a salvaguardare gli interessi dell’altra, quando tale condotta persegua un risultato lecito attraverso mezzi legittimi». È ravvisabile, invece, quando il datore di lavoro, anche se in assenza di divieti formali, eserciti il diritto secondo modalità che si pongono in contrasto con i principi di correttezza e buona fede per ottenere un risultato ulteriore e diverso rispetto a quello previsto dalla legge, oltre a richiedere ai lavoratori sacrifici spropositati e ingiustificati.

La condotta tenuta dalla Società, secondo la Suprema Corte, era da ritenersi legittima, in quanto le opzioni prospettate sono state eseguite in piena trasparenza, così da permettere ad ogni singolo lavoratore di scegliere se trasferirsi in altra sede o accettare la risoluzione contrattuale a fronte di una indennità di denaro.

In conclusione, le misure adottate dal datore di lavoro – in contrasto con l’interesse del dipendente – non configurano in maniera automatica un abuso del diritto qualora siano state adottate in piena trasparenza e correttezza.