Relazioni Sindacali: la rivoluzione copernicana è compiuta

GIORGIO FONTANAFinalmente pronto il nuovo modello sottoscritto da Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil. L’aspetto più innovativo del Testo Unico sulla Rappresentanza riguarda l’accettazione da parte di tutte le componenti sindacali del principio maggioritario anche a livello aziendale (ove c’erano state le più acute tensioni), in forza del quale i contratti collettivi aziendali sono efficaci erga omnes, vincolando tutte le organizzazioni sindacali, anche se sottoscritti soltanto dalla maggioranza (e non da tutti i membri) della RSU aziendale

Il 10 gennaio 2014 è stato sottoscritto da Confindustria e da Cgil, Cisl e Uil, il Testo Unico sulla Rappresentanza che, finalmente, chiude la lunga fase di gestazione del nuovo modello di relazioni sindacali (dopo la stipula dell’Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo d’intesa del 31 maggio 2013) con straordinarie innovazioni sia nel sistema contrattuale, sia nella rappresentanza sindacale.

Il primo punto qualificante è la misurazione e la certificazione, a cura del CNEL, della rappresentatività delle organizzazioni sindacali ai fini della contrattazione collettiva nazionale. Come nel settore pubblico, la rappresentatività dovrà essere attestata sulla base della media del dato elettorale (i voti ricevuti dalle singole organizzazioni alle elezioni per la RSU, azienda per azienda) e del numero di iscritti all’interno della categoria interessata. Così certificata, la rappresentatività sindacale determinerà sia il diritto di accedere alle trattative per il rinnovo dei c.c.n.l. (riservato ad ogni organizzazione sindacale che superi lo sbarramento del 5%, quale media ponderata elettorale e associativa), sia le condizioni di validità degli accordi (considerati “efficaci” se le associazioni dai categoria stipulanti conseguono nel complesso una rappresentatività pari almeno al 51%, da intendersi sempre come media ponderata).

L’accordo sottoscritto il 10 gennaio regolamenta poi la rappresentanza sindacale in azienda, disciplinando le modalità di costituzione e di funzionamento della RSU in termini sostanzialmente conformi al vecchio Accordo Interconfederale del 23 dicembre 1993 (si ricorda che le RSU possono essere costituite, al pari delle RSA, soltanto nelle unità produttive con più di quindici dipendenti). L’aspetto innovativo, però, (seppure più volte oggetto di previsioni di legge e di accordi collettivi) è l’accettazione da parte di tutte le componenti sindacali del principio maggioritario anche a livello aziendale (ove c’erano state le più acute tensioni), in forza del quale i contratti collettivi aziendali sono efficaci erga omnes, vincolando tutte le organizzazioni sindacali, anche se sottoscritti soltanto dalla maggioranza (e non da tutti i membri) della RSU aziendale. Lo stesso dicasi se gli accordi sono stipulati con le RSA (si ricorda che le RSA, di fonte legale, e le RSU, di fonte negoziale, nel nostro ordinamento coesistono, ancorché non possano materialmente sovrapporsi dovendo le organizzazioni sindacali optare per l’una o per l’altra formula).

Di grande importanza sono poi le nuove disposizioni in materia di esigibilità degli accordi e di sanzioni in caso di comportamenti “ostruzionistici” da parte sindacale, ovvero da parte dei soggetti dissenzienti, in caso di stipula degli accordi a maggioranza e non all’unanimità.

Limitandomi a un commento estremamente sintetico, posso dire che quest’accordo è figlio, in realtà, del modello introdotto nel settore pubblico, grazie all’intuizione di un Maestro del Diritto del lavoro, Massimo D’Antona, che pagò con la vita il suo impegno riformista.

Un modello ispirato ai principi democratico-maggioritari (l’efficacia degli accordi è la conseguenza dell’approvazione a maggioranza: la regola del 50% +1), in antitesi a quello tradizionale, finora vigente nel settore privato (incentrato su principi associativi: il sindacato contratta liberamente e gli accordi sono validi per gli iscritti, anche se “minoritari”).

Il cambiamento è dunque “copernicano”, ha natura sistemica. Dimostra la duttilità e la capacità di adattamento delle parti sociali, che hanno voluto con decisione una riforma in grado di modernizzare il sistema di relazioni industriali nel nostro Paese.