Pasquino: «I partiti italiani sono ancora in crisi»

GIANFRANCO PASQUINO copyMancano poche ore alla nascita di un nuovo Esecutivo targato Matteo Renzi. Su questa imminente realtà e su altri aspetti propri della politica italiana degli ultimi tempi abbiamo “consultato” il Professore Emerito di Scienza Politica nell’Università di Bologna Gianfranco Pasquino

Professore Pasquino, prima Monti, poi Letta e oggi Renzi: le elezioni per scegliere democraticamente il governo politico del proprio Paese nel nostro sono diventate demodé? È corretto dire che la sovranità in Italia spetta ancora al popolo?

In nessuna delle democrazie parlamentari, il popolo sceglie il governo. Ve lo siete inventato voi italiani questo inesistente esito. Ovunque, nelle democrazie parlamentari, il popolo vota i parlamentari designati dai partiti. Contati i voti, si formano le alleanze e il capo del partito che ha più seggi diventa capo del governo. A determinate condizioni, può essere sostituito dal suo stesso partito anche quando gli altri partiti non lo gradiscono più. È sufficiente che, come scrive limpidamente la Costituzione italiana, il governo ottenga e mantenga la fiducia del Parlamento. Naturalmente, il popolo potrebbe pretendere di sceglierli davvero i parlamentari, cosa che non può fare con il Porcellum di Berlusconi e Calderoli e non potrà fare con il Porcellinum (liste sempre bloccate, ma più corte; premietto di maggioranza; pluricandidature, ma non in tutte le circoscrizioni) di Renzi e Berlusconi. Neppure nelle democrazie presidenziali, il popolo sceglie il governo. Elegge il Presidente che nomina i suoi ministri, ma che, poi, come dimostra il caso di Obama, se non ha la maggioranza in Congresso, non riesce a  governare.

I partiti “tradizionali” sono – ormai da un ventennio – bollati come istituzioni in crisi di identità e leadership avendo perso il ruolo principale di «formazioni che promuovono la maturazione civile e l’iniziativa del popolo». Lei stesso – cito testualmente uno stralcio di una sua intervista con Costozero datata gennaio 2009 – li definì «organismi burocratici oppure populistici oppure padronali oppure clientelari oppure tutto insieme. Non hanno democrazia interna. Non incoraggiano la partecipazione. Non promuovono il merito». Intravede attualmente in tal senso qualche spiraglio di miglioramento?

No, nei partiti italiani (ma nel resto d’Europa è tutta un’altra storia) non vedo alcun miglioramento. Continua ad esserci un po’ di tutto: un paio di movimenti populisti, uno anche mediatico; un partito padronale; un partito tre quarti personale (il PD di Renzi) e un quarto burocratico; qualche partitino clientelare. D’altronde, se voi italiani continuate a pensare che la politica è una cosa sporca e che i politici sono tutti corrotti, che la società cosiddetta civile è migliore di quella politica, che la politica può essere fatta da chi vede le stelle e manda tutti a Vaffa, non vi meritate niente di meglio. Soprattutto, non avrete niente di  meglio.

Passando invece alle nuove metodologie della discussione politica, condivide la scelta di affidare importanti momenti anche di decisione e scelta a dirette streaming, lanci su twitter ed elezioni sul web?
Assolutamente no. Le procedure democratiche non hanno proprio niente a che fare con la demagogia, con i terribili semplificatori, con chi cinguetta, ma non sa su che cosa, con consultazioni in rete fasulle che sono un misero surrogato di comici plebiscitarismi. La democrazia è dialogo, è discussione sull’agenda dei problemi e delle priorità, è confronto fra soluzioni, è votazioni regolamentate nelle quali nessuno perde mai tutte le volte e nessuno vince mai tutte le volte. Al contrario, la rete è una melassa spesso affollata da insulti.    

 “Ce lo chiede l’Europa, ce lo chiede il Paese”:  in nome di questo sprone cosa dovrebbe prioritariamente fare il nuovo Esecutivo secondo lei?
La richiesta dell’Europa, non della sola Germania, ma anche della Finlandia e della Svezia, dell’Olanda e della Gran Bretagna, è che l’Italia diventi un paese decente, affidabile, che prende impegni e li mantiene, che rispetta e attua le direttive dell’UE, che riforma il sistema giudiziario e riduce la corruzione. Sono cose che qualsiasi politico degno di questa qualifica dovrebbe cercare di fare anche a prescindere dalle richieste provenienti dall’Europa. Il nuovo (con la stessa maggioranza del vecchio, con quasi la metà dei ministri riconfermata: quanto nuovo sarà mai?) esecutivo dovrebbe fare tutto quello che serve a rendere l’Italia un paese “giusto” che ricompensa e premia il lavoro e il merito, che cerca di mettere tutti gli italiani in condizioni di eguaglianza di opportunità, di studio, di lavoro, di vita. Chi le ha viste proposte di questo genere, in streaming o alle Invasioni Barbariche, a Palazzo Vecchio o a Palazzo Chigi?  Please, mandatemi un paio di tweets.