Parte finalmente la Branch Exemption

Cos’è e come funziona questa agevolazione finalizzata a facilitare l’ingresso delle imprese italiane sui mercati esteri, equiparando ai fini fiscali gli utili trasferiti alla casa madre dalla Stabile organizzazione ai dividendi provenienti da una sua controllata estera

L’Agenzia delle Entrate, con il provvedimento n.165138/2017 del 28 agosto 2017, ha dato attuazione al regime della Branch Exemption di cui all’art. 168ter del TUIR – introdotto dall’art.14 del DLGS 147 del 14.9.2015 – che attribuisce la facoltà alle imprese italiane, con stabili organizzazioni all’estero, di optare per l’esenzione dal proprio reddito degli utili e delle perdite rivenienti da tali “rami di azienda” situati fuori dal territorio dello Stato.

In buon sostanza, i redditi e le perdite prodotte dalle branch estere non concorrono a formare, a determinate condizioni, il reddito imponibile ai fini IRES e IRAP della casa madre italiana.
Cerchiamo di analizzare le disposizioni più significative che regolano il nuovo regime.
Innanzitutto, per poter accedere a tale regime occorre esercitare una specifica opzione, che è fortemente vincolante, in quanto deve riguardare tutte le stabili organizzazioni estere dell’impresa italiana: quelle già esistenti, quelle costituite successivamente all’opzione e persino quelle la cui esistenza venga accertata dallo Stato estero di localizzazione (criterio “all in all out”).

Inoltre, tale opzione, a differenza di qualunque altra esistente nella disciplina del reddito d’impresa, non ha scadenza, né è revocabile – per alcuna ragione – tranne ovviamente i casi in cui la stabile organizzazione venga estinta o cessata. A tal proposito si segnala che occorre prestare attenzione a chiusure e riaperture repentine, che possono essere considerate dall’AGE (Agenzia delle Entrate) quali operazioni artificiose in ambito fiscale.

L’opzione deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui viene istituita la branch, mentre, nel caso di branch preesistenti dal 7 ottobre 2015 (entrata in vigore del Decreto Legislativo 147/2015) in poi, essa deve essere esercitata al massimo nella dichiarazione relativa al secondo periodo d’imposta successivo a tale data (di norma 30 settembre 2018).

Naturalmente, in caso di branch preesistente all’opzione, onde scongiurare raddoppi di beneficio, la norma prevede un particolare meccanismo di recupero (recapture) delle perdite trasferite dalla stabile organizzazione alla casa madre nei periodi d’imposta precedenti l’opzione.
Il recupero avviene derogando al principio dell’esenzione per i redditi trasferiti post opzione, che vengono sottoposti a tassazione sino a concorrenza delle perdite trasferite sempre da detta branch nei cinque periodi d’imposta precedenti all’opzione ed effettivamente utilizzate dalla casa madre a diminuzione del proprio reddito. La parte non utilizzata di perdite pregresse ovviamente non potrà più essere utilizzata dalla casa madre per abbattere i propri redditi.

La Recapture non opera globalmente, ma Stato per Stato assumendo, solo a questi fini, che esista un’unica branch per singolo Stato, il cui reddito o perdita è rappresentato dalla sommatoria dei redditi e delle perdite delle varie stabili organizzazioni (le S.O.) presenti in ciascun territorio.
Ai fini della determinazione del reddito della S.O. esente, occorre far riferimento all’Approccio Autorizzato OCSE, che considera la branch quale entità separata ai fini fiscali dalla casa madre, con valorizzazione delle transazioni secondo le regole dei prezzi di trasferimento (valore di mercato).

Sotto il profilo operativo, i risultati attribuibili alla S.O. devono risultare da apposito rendiconto patrimoniale ed economico e ad essi devono essere apportate le rettifiche previste dalla normativa fiscale italiana, così da giungere al risultato fiscale della branch, da riportare nella dichiarazione della casa madre quale componente da sterilizzare dal suo reddito imponibile.
Nei casi di S.O. situati in Paesi a fiscalità privilegiata, onde evitare abusi e salti d’imposta, si stabilisce (ma il punto non è chiarissimo) che, in via generale, gli utili distribuiti alla casa madre non beneficiano di alcuna detassazione.

Tuttavia se alla branch paradisiaca può essere applicata l’esimente di cui all’art. 167 co. 5 lett. a) del TUIR (svolgimento di un’effettiva attività industriale o commerciale e radicamento nel mercato locale), allora è riconosciuto il credito d’imposta indiretto per eventuali imposte assolte dalla S.O. e gli utili “provenienti” da quest’ultima concorrono a formare il reddito della casa madre solo in caso di distribuzione ai soci.
Qualora, invece, per la S.O. privilegiata si riesca a dimostrare l’esimente di cui all’art. 167 co. 5 lett. b) del TUIR, che si sostanzia nella prova che il reddito è stato assoggettato ad un adeguato livello d’imposta, il regime dell’esenzione non viene meno. A tal fine, occorre provare che con la S.O. non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati a fiscalità privilegiata a partire dall’esercizio di efficacia dell’opzione per la branch exemption.

Venendo al merito sostanziale del nuovo regime, esso tende a facilitare l’ingresso delle imprese italiane sui mercati esteri, in quanto equipara ai fini fiscali gli utili trasferiti alla casa madre dalla S.O. ai dividendi provenienti da una sua controllata estera. Sotto questo aspetto quindi S.O. e partecipazioni estere di fatto beneficeranno entrambe della normativa PEX, con un miglioramento a favore della S.O., posto che nella branch exemption la distribuzione degli utili è detassata al 100% e non al 95% come per i dividendi societari.

Questa equiparazione tributaria consentirà anche di evitare la costruzione di costose e complesse strutture societarie nel territorio prescelto (costituzione di una società, nomina organi societari, poteri, adempimenti, ecc.), posto che, salvo che non vi siano specifiche ragioni sociali, sarà più agevole e conveniente formare una S.O. piuttosto che una società.

L’unico elemento distonico del nuovo regime è rappresentato dalla irrevocabilità dell’opzione, che, in un mondo imprenditoriale in continua evoluzione che richiede quindi flessibilità nelle scelte, appare un limite talmente significativo che potrebbe pregiudicare l’efficacia concreta dell’agevolazione.