L’equilibrio tra mediazione e processo

Avvocato

Occorre rafforzare la giurisdizione per fortificare le tutele, offrendo al contempo procedimenti a-giurisdizionali regolamentati e che prevedano percorsi compositivi basati sulla costruzione del consenso e non sulla forza della cogenza del dictum del terzo

 

Dall’analisi dei dati statistici disponibili a livello europeo emergono due evidenti paradossi. In primo luogo, si rileva che, nell’Unione europea, soltanto una controversia su cento di quelle che arrivano nei tribunali approda in mediazione. In secondo luogo, ed è forse il vero paradosso della mediazione (in Italia e per converso anche in Europa), è che il ricorso alla procedura di mediazione in Italia è sei volte superiore al resto d’Europa.

La nascita dell’istituto della mediazione delle controversie civili e commerciali in Italia deve essere ricondotta al 20 marzo 2010, data di entrata in vigore del decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 in attuazione della Direttiva 2008/52/CE. Questa data segna una svolta culturale e giuridica di notevole rilevanza, ma che ancora oggi – a distanza di oltre sette anni – si stenta ad apprezzare.

Le ampie discussioni sulle problematiche tecnico-giuridiche relative ad aspetti per lo più connessi al meccanismo della condizione di procedibilità hanno polarizzato l’attenzione degli operatori e degli interpreti, lasciando sullo sfondo le profonde ragioni di una svolta epocale in atto a livello transnazionale.

E la nascita della mediazione costituisce la tappa di approdo e al tempo stesso di partenza di un percorso culturale e normativo europeo destinato ad attuare in chiave evolutiva anche i principi fondamentali contenuti nella Carta costituzionale nel quadro di un complesso sistema di fonti qual è quello italo-comunitario.

Facilitare l’accesso alla giustizia e ai metodi alternativi di risoluzione delle controversie civili e commerciali e promuovere la composizione amichevole delle medesime attraverso la mediazione, costituisce il principale obiettivo che con la Direttiva n. 52/2008 il legislatore europeo mira a raggiungere.

Una disciplina che nel perseguire questi obiettivi e pur incoraggiando il ricorso alla mediazione, intende altresì garantire «un’equilibrata relazione tra mediazione e procedimento giudiziario» (articolo 1, Dir. 52/2008) e non soltanto nelle controversie transfrontaliere, risultando applicabile anche «ai procedimenti di mediazione interni» (considerando 8, Direttiva 52/2008).

D’altronde «la mediazione può fornire una risoluzione extragiudiziale conveniente e rapida delle controversie in materia civile e commerciale attraverso procedure concepite in base alle esigenze delle parti. Gli accordi risultanti dalla mediazione hanno maggiori probabilità di essere rispettati volontariamente e preservano più facilmente una relazione amichevole e sostenibile tra le parti. Tali benefici diventano anche più evidenti nelle situazioni che mostrano elementi di portata transfrontaliera» (considerando 6, Direttiva 52/2008).

Ma i temi che attanagliano il dibattito italiano nella doppia prospettiva de jure condito/de jure condendo sono tuttora quelli connessi all’obbligatorietà e all’effettività. Forse occorrerebbe prendere atto dell’esigenza dell’impiego di forme di obbligo in chiave promozionale (unitamente ad un incremento di attività informative e formative, oltre che di incentivi non solo fiscali) per il necessario riequilibrio (qualitativo e quantitativo) e che la mediazione (sia pur attenuata nella sua obbligatorietà) è o non è (quindi è sempre “effettiva”).

La riflessione e il dibattito dovrebbero quindi spostarsi sia in sede interpretativa, ma ancor più in fase propositiva, nella distinzione tra mediazione e altri procedimenti ADR di tipo valutativo (sia pur non vincolanti) e, ancor di più, sul tema dei costi della mediazione e di quelli dell’accesso al processo, in una prospettiva che miri a ripensare il costo del più complesso e articolato sistema della giustizia civile.

Più che discorrere di “degiurisdizionalizzazione” delle tutele occorrerebbe affrontare il tema dei nuovi confini della giurisdizione e del nuovo ruolo del giudice in un sistema della giustizia in tal senso evoluto. Non occorre portare fuori dalla giurisdizione le tutele, ma occorre rafforzare la giurisdizione per rafforzare le tutele, al contempo offrendo procedimenti a-giurisdizionali regolamentati e che prevedano percorsi compositivi basati sulla costruzione del consenso e non sulla forza della cogenza del dictum del terzo.

Sistemi negoziali nei quali si costruisce un consenso consapevole e responsabile con l’ausilio di un terzo indipendente e imparziale con funzioni affatto diverse. Da un lato il mediatore, che facilita la soluzione puramente negoziale, dall’altro, forme di arbitrati non vincolanti, dove l’arbitro è il terzo che formula proposte di soluzione basate su criteri predeterminati (diritto, equità, codici di condotta, etc.) poi accolte dalle parti. Accordi compositivi delle controversie ai quali le parti pervengono attraverso diversi percorsi scelti dalle stesse o suggeriti/ordinati dalle legge o dal giudice.

Non si tratta dunque di degiurisdizionalizzare le tutele. Si tratta di consentire alla giurisdizione di garantire la tutela dei diritti quando è necessario, intervenendo tempestivamente ed efficacemente. Si tratta di aprire spazi di autonomia negoziale regolamentata nei quali consentire alle parti opportunità compositive extragiudiziarie prima del processo e durante Io stesso, mai confondendo ruoli e funzioni.
La Direttiva n. 52/2008 invero non chiede di degiurisdizionalizzare alcunché e tantomeno le tutele. La Direttiva mira ad un sistema di giustizia equilibrato e integrato, un sistema sostenibile nel quale la risorsa giurisdizionale possa operare in un alveo fisiologico (di tipo qualitativo e quantitativo).

L’accesso alla giustizia o meglio a sistemi di risoluzione non giurisdizionali di composizione delle liti civili anche attraverso forme di obbligatorietà risponde ad esigenze sociali e culturali più che a mere problematiche emergenziali. Anzi proprio le forti spinte derivanti dalla situazione di collasso nella quale, in certi contesti, ci si ritrova ad operare denotano quanto occorra andare alle radici della conflittualità piuttosto che continuare ad operare nel circuito della ricerca del rimedio processuale e poi del rimedio del rimedio e poi, ancora, così all’infinito.