L’importanza della giustizia riparativa e il Progetto Sicomoro

luigi devaleriIl progetto, già operativo da alcuni anni anche in Italia, mira ad intervenire sulle vittime dei reati curando le loro ferite e ai detenuti offrendo la possibilità di riscattarsi attraverso la consapevolezza del male causato

 

«Non esiste luogo del nostro cuore che non possa essere raggiunto dall’amore di Dio. Dove c’è una persona che ha sbagliato, là si fa ancora più presente la misericordia del Padre, per suscitare pentimento, perdono, riconciliazione, pace>>. Queste parole di speranza di Papa Francesco risuonate il 5 novembre nella basilica di San Pietro in occasione del giubileo dei carcerati colpiscono e nessuno, credo, possa sentirsi escluso da questa riflessione. Con le parole del Pontefice introduco l’argomento della giustizia riparativa, la cui applicazione assume un ruolo decisivo nella lotta alla recidiva del reato. Il diritto romano prevedeva la “actio in integrum restitutio” con la quale poteva ripristinarsi lo status quo ante, eliminando gli effetti del contratto viziato dalla coercizione della volontà della parte danneggiata. Il principio, tuttora applicato nell’ordinamento italiano all’art. 2058 del codice civile “risarcimento in forma specifica”, consiste nel mettere il danneggiato nelle stesse condizioni in cui si sarebbe trovato se l’illecito non si fosse verificato. La realizzazione del modello di giustizia riparativa pone in primo piano l’autore del fatto criminoso e i danni provocati alla vittima del reato, proponendo l’eliminazione delle conseguenze del reato mediante l’attività riparatrice posta in essere da costui.

 

Al centro dell’attenzione si trova il soggetto che ha commesso il reato al quale viene proposto di rimediare alla sua condotta criminosa e ai danni causati alle vittime. Egli diventa un soggetto attivo e non più un mero destinatario di una sanzione per la condotta che ha tenuto nei confronti di singoli individui o della collettività. La riparazione si concretizza mediante la restituzione in forma specifica del maltolto, il risarcimento del danno in forma pecuniaria o l’esecuzione di prestazioni in favore della vittima o di un servizio utile in favore della collettività. Il principale strumento operativo della giustizia riparativa è la mediazione tra l’autore del reato e la vittima. Le tecniche della mediazione penale permettono di passare da una situazione di conflitto ad un possibile riavvicinamento tra le parti e la presenza di una terza parte neutrale è fondamentale per facilitare il dialogo tra la vittima e il reo in funzione della soluzione dei problemi derivanti dalla commissione del reato. Il reo verrà aiutato a comprendere la gravità del gesto compiuto e le relative conseguenze, la vittima a superare la propria sofferenza aprendosi nella condivisione di fronte a chi, pur non direttamente, l’ha causata.

 

La vittima, che spesso avverte la necessità di trovarsi di fronte a chi ha commesso il reato per chieder-ne ragione e motivazioni, assurge a protagonista dell’incontro come il reo. Intento della giustizia riparativa è riconsiderare la vittima e metterla al centro dell’azione ristorativa favorendo la riconciliazione tra le parti. Da alcuni anni questi principi in Italia sono stati assunti dall’Associazione Prison Fellowship Italia Onlus, nata nel 2009 dall’esperienza statunitense dell’organizzazione mondiale Pri-son Fellowship International che, a partire dal 1976 ha dato il via ad una missione di recupero dei detenuti, anche attraverso l’evangeliz-zazione delle carceri. L’organismo internazionale ha dato risposta al crescente affollamento delle carceri in cui spesso di verificano episodi di violenza, difficoltà di condivisione di spazi il più delle volte inadeguati, finendo con il diventare concausa di azioni esasperate degli stessi detenuti. L’Associazione, presieduta dal notaio Marcella Reni, non ha scopo di lucro, si sostiene con le libere donazioni e opera grazie ad alcuni volontari che realizzano, tra l’altro, il Progetto Sicomoro. Il Progetto Sicomoro deve il nome all’episodio nel Vangelo di Luca (Lc. 19, 1-9), in cui Gesù incontra il peccatore Zaccheo che, nascosto tra i rami di un sicomoro, lo guarda passare credendo di non essere vi-sto, ma viene scorto e riconosciuto da Gesù che lo chiama per nome. Il riconoscimento di Zaccheo è il punto cardine di questo passo e avviene attraverso Gesù che si manifesta agli uomini, nessuno escluso, anche chi si è posto contro la legge di Dio e i volontari del progetto secondo questo esempio realizzano un percorso di riqualificazione della dignità umana che può portare benefici alle vittime, ai trasgressori, al sistema di giustizia penale, alla comunità.

 

Il Progetto Sicomoro punta ad un inserimento nella realtà carceraria che parte dalla condizione di uomo del detenuto cui offrire una possibilità di riscatto e reinserimento nella comunità civile. Vittime e ristretti sono coinvolti in un percorso di reciproca immedesima-zione e conoscenza, attraverso una riabilitazione dei detenuti cui si accompagna in concreto la “giustizia restitutiva” in favore delle vittime. Il progetto Sicomoro è organizzato mediante passaggi di crescita cui si giunge dopo aver fatto propri i vari obiettivi di volta in volta proposti. Le otto sessioni, cui partecipano due facilitatori e un numero uguale di vittime e di detenuti, prevedo-no un tema affrontato e dibattuto a partire dalla Parola di Dio e da esempi concreti tratti dalla vita quotidiana. Lo scopo primario del progetto è il recupero morale dell’autore del reato e la possibilità per le vittime di sanare le ferite ricevute aiutandole a superare la “schiavitù” generata dal rancore, spesso dall’odio e dal desiderio di vendetta preparando la via che porta al perdono. In Italia il progetto Sicomoro, che ha ricevuto il patrocinio del Ministero della Giustizia, ha conseguito effetti positivi nel carcere di Opera a Milano, nelle carceri di Rieti, Modena e Tempio Pausania ed è tuttora in fase di programmazione per l’anno 2017.