Industria 4.0: «Sono ancora poche le lepri»

Gianni Potti

Per il presidente CNCT di Confindustria Servizi Gianni Potti:«C’è da fare un grande lavoro di dissemination e cultura per spiegare davvero cosa sia questa quarta rivoluzione industriale»
Le competenze richieste da Industria 4.0 ci sono seppure allo stato di potenza o il cambiamento richiederà più tempo e sforzi di quelli previsti? Insomma, a che punto è realmente il nostro Paese?
Io credo che oggi in Italia ci siano aziende che hanno davvero svoltato in meglio in questi anni, le cosiddette “lepri”, quelle che fanno il mercato e sono competitive. Poi ce ne sono tantissime, diciamo il 90%, che definirei “follower”, per lo più PMI, che hanno assolutamente bisogno di acquisire competenze nuove per essere competitive sul mercato. In ogni caso va compreso quanto sia decisiva per il futuro del nostro Paese la sfida della digital transformation: si pensi che una piena attuazione di Industria 4.0 da parte del sistema produttivo italiano, secondo le stime più accreditate, dovrebbe produrre una crescita del 4% del PIL.

Come occorre trasformare la propria azienda? Quali tecnologie e servizi sono necessari per la manifattura 4.0?
Il tema è la reingegnerizzazione del processo produttivo. Bisogna, pertanto, avere un piano di ripensamento della propria impresa per renderla più efficiente, risparmiare energia, migliorare la performabilità del prodotto…in una parola renderla più competitiva! L’implementazione di nuovi sistemi e tecnologie sta migliorando l’esecuzione dei processi complessi e ripetitivi grazie alla capacità delle macchine. Essi possono trattare grandi quantità di dati con affidabilità e velocità. Ciononostante, la presenza dell’uomo è sempre richiesta in quanto ci saranno delle situazioni imprevedibili che richiederanno la capacità e la memoria associativa umana. L’essere umano sarà inoltre sempre necessario per la validazione e la continua analisi e ricerca. L’uomo sarà al centro della Industria 4.0, perché in una produzione nella quale la parola d’ordine è flessibilità, il vero elemento flessibile sarà l’uomo, un operaio o impiegato con skill diverse e superiori a quelli attuali. Ecco perché la formazione e la capacità di fare squadra faranno davvero la differenza nella Fabbrica 4.0.

In linea generale crede che le aziende abbiano compreso appieno la portata dell’opportunità?
Una recente ricerca del Politecnico di Milano ci dice che solo il 10% degli imprenditori italiani sa cosa sia Industria 4.0. Quindi la risposta è no, ovvero non abbastanza! C’è da fare un grande lavoro di dissemination e cultura per spiegare davvero cosa sia questa quarta rivoluzione industriale. E qui risulta fondamentale il ruolo delle associazioni di categoria.

E secondo lei quale sarà quello delle startup?
Vedo le startup come il nuovo reparto Ricerca e Sviluppo collocato a fianco del manifatturiero. A loro il compito di inventare e creare soluzioni. Già molte aziende si appoggiano a coworking o fablab. È l’open innovation. E, se ben gestita, è un’ulteriore occasione di lavoro per tanti giovani. Certo, urgono anche interventi legislativi di vero supporto alle giovani start-up, tesi a sburocratizzare il settore e facilitare gli investimenti.

Le fabbriche diventano intelligenti, i sistemi interconnessi con livelli di automazione inimmaginabili fino a pochi anni fa. Tutto questo modifica però e in maniera profonda anche la geografia dei rischi che potrebbero investire la gestione dei dati, ad esempio. Come proteggersi?

La cyber security è una delle principali sfide dell’Industria 4.0. Pensiamo che, grazie ai cosiddetti sistemi cyber-fisici, nel 2020, almeno 60 miliardi di oggetti intelligenti saranno collegati in rete. Immaginiamo quale mole di dati, molti dei quali sensibili, invaderà il mondo. E oltre alla capacità di saper leggere e utilizzare questa enorme mole di big data, sarà decisivo proteggerla da hacker, basti vedere le ultime vicende. La verità è che questa materia (invisibile) fa notizia per qualche giorno, ma poi noi imprenditori non dedichiamo la dovuta attenzione a proteggere le nostre aziende. Invece sarà strategico farlo e blindare il più possibile le nostre reti aziendali, come i nostri smartphone. La cultura della sicurezza va portata in azienda come a casa.