Cartelle di pagamento, la prescrizione resta breve

alessandro sacrestano bigLa Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (sentenza n. 23397/2016), ha precisato che solo il credito azionato con cartella di pagamento, impugnato con sentenza negativa passata in giudicato, beneficia del termine di prescrizione decennale previsto dall’articolo 2953 del codice civile, poiché in tal caso il titolo esecutivo verrebbe ad essere sostituito dal giudicato

 

La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite (sentenza n. 23397/2016), mette fine alla querelle sul termine prescrizionale dei crediti sottostanti le cartelle di pagamento.

Con un intervento che riprende pienamente il precedente, dettato sempre dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 25790/2009, gli ermellini hanno precisato che solo il credito azionato con cartella di pagamento, impugnato con sentenza negativa passata in giudicato, beneficia del termine di prescrizione decennale previsto dall’articolo 2953 del codice civile, poiché in tal caso il titolo esecutivo verrebbe ad essere sostituito dal giudicato (che gode del termine lungo di prescrizione). Nei casi residui, quindi, in assenza di sentenza passata in giudicato, resta fermo il termine breve dei cinque anni.

Il principio ora riaffermato dalla Corte, a dire il vero incontestabile, è stato comunemente disatteso negli ultimi periodi – soprattutto nella giurisprudenza di merito – per effetto di un “disattento” intervento della medesima Corte, Sezione V, con sentenza n. 17051 del 26/08/2004 che, invece, aveva stabilito che, per effetto dell’iscrizione a ruolo, “l’Ufficio forma un titolo esecutivo al quale è sicuramente applicabile il termine prescrizionale di dieci anni previsto dall’articolo 2496 del codice civile”. Sono gli stessi giudici di piazza Cavour, commentando detto passaggio, a stabilire che lo stesso veniva espresso “senza … alcuna specifica spiegazione sul punto e senza alcun riferimento all’actio judicati”. Tuttavia, resta il fatto che tanto la Suprema Corte (seppure con orientamenti ondivaghi), tanto la giurisprudenza delle Commissioni Tributarie, da quel momento avevano fornito interpretazioni contrastanti sul termine prescrizionale, finendo per spingere i giudici ad un’applicazione del termine lungo di dieci anni a tutte le cartelle esattoriali, a prescindere dalla natura del credito vantato.

Tanto aveva spinto la stessa Cassazione, con Ordinanza n. 1799/2016, a rimettere la questione nelle mani delle Sezioni Unite per riallineare le “disarmonie” venutesi a creare.
La Cassazione, quindi, enuncia due fondamentali principi di diritto.

Con il primo, i giudici stabiliscono che, ai fini della riscossione dei crediti contributivi, lo spirare del termine fissato dall’articolo 24, comma 5 del DLgs n. 46/99, utile all’impugnativa della cartella, comporta esclusivamente l’irretrattabilità del credito, ma non anche l’estensione al medesimo di un termine prescrizionale lungo. Decorsi inutilmente cinque anni, quindi, senza che il concessionario abbia esperito atti interruttivi della prescrizione, il medesimo credito dovrà ritenersi prescritto.

Con il secondo principio, gli ermellini estendono il medesimo ragionamento a tutti i tipi di credito sottostanti le cartelle esattoriali, compreso quelli erariali, stabilendo che in nessun modo il ruolo non impugnato comporti che per lo stesso valga quanto stabilito dall’articolo 2953 del codice civile, secondo cui “I diritti per i quali la legge stabilisce una prescrizione più breve di dieci anni, quando riguardo ad essi è intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, si prescrivono con il decorso di dieci anni”.
Anche per gli stessi, quindi, il diritto a riscuotere da parte del concessionario, si prescrive nel termine breve di cinque anni.

La pronuncia, è ovvio, avrà un peso non indifferente per tutti i contenziosi pendenti.