Alimentazione sostenibile e sprechi: la cucina autarchica/2

giuseppe fatati bigÉ tempo di rimettere il cibo al proprio posto, vicino ai nostri sensi e alla terra da cui proviene. In questo, la riscoperta delle ricette delle nostre
nonne, magari reinterpretate, ci può essere di grande aiuto

 

Abbiamo scritto che, in tempi passati, evitare sprechi nell’alimentazione era un esercizio quotidiano che richiedeva l’impiego di cibi avanzati dai pasti precedenti. Elemento principale della cucina del riuso era il pane. Se pensiamo alle donne della Valnerina non possiamo non ricordare comportamenti rituali specifici. Se il pane cadeva in terra, lo si raccoglieva e lo si baciava prima di mangiarlo, o riporlo. Se si era insozzato, lo si dava agli animali, ma in nessun caso lo si gettava via. Vigeva la severa legge dell’autarchia che per garantire la sopravvivenza vietava ogni inutile spreco, rafforzata dallo speciale rapporto che intercorre tra Cristo e il pane. Nelle famiglie povere la cucina del riuso era la cucina del pane raffermo che si esplicitava in tre ricette principali: l’acquacotta, il pancotto e la panzanella. Per preparare l’acqua cotta, l’ingrediente principale era acqua calda assieme al pane sul quale la zuppa era versata appena tolta dal fuoco. Prima che le patate entrassero a far parte dell’alimentazione quotidiana del contado, per preparare l’acqua cotta si usavano le rape. Assieme alle rape, e/o i legumi prodotti dall’orto domestico, in particolare fagioli e fave. A seconda della stagione, anche piante selvatiche come il ramolaccio (Raphanus sativus), o la cicoria (Taraxacum officinale, o Dente di Leone). In inverno, si usavano le verze (camolle) dell’orto resistenti al freddo e facili da conservare.

Oggi possiamo preparare un’acqua cotta più ricca sistemando sul pane, prima di versarvi la zuppa bollente, qualche fettina di formaggio fresco o anche fette di pecorino. Il pancotto veniva preparato facendo bollire in acqua il pane più duro.
Per insaporirlo, oltre al sale, si usava l’aglio in dosi spesso generose. Quelli che potevano, lo condivano con olio e formaggio stagionato di pecora. Una ricetta più nutriente prevedeva l’aggiunta di un uovo battuto, versato poco prima di toglierlo dal fuoco rimestando a fondo con la cucchiaia di legno. Questa pietanza era consigliata alle donne durante l’allattamento perché gli si attribuiva il potere di favorire la produzione lattea. Infine la panzanella, servita spesso a colazione, specie d’estate, immancabile pietanza offerta ai mietitori che si componeva anch’essa di pane raffermo rinvenuto in acqua. Una volta ammollato, si eliminava l’eccesso d’acqua premendo col palmo della mano fino a quando il pane rimaneva bagnato, ma non zuppo. Steso sul fondo del piatto, lo si condiva con sale, aceto, olio, aglio tritato o cipolla. La panzanella poteva essere insaporita con origano, timo o menta silvestre (mentuccia). Una ricetta più ricca utilizzava pomodori dell’orto spezzettati previamente sul tagliere. Nelle merende offerte ai mietitori, il pane ammollato veniva disposto a strati nella grande zuppiera comune (piattellone) condendo, uno alla volta, ognuno degli strati in modo che s’insaporissero adeguatamente. Oltre al valore nutritivo del pane, la presenza d’acqua e d’aceto contribuiva a placare l’arsura. 

La cucina del riuso non coinvolgeva solo il pane ma anche tanti altri prodotti alimentari: dai residui di carne ai legumi avanzati. Le bucce di patate fritte diventate in pochi anni un must nei ristorantini e nei pub di tutta Italia, ne sono un esempio. In pratica si tratta di friggere e mangiare lo scarto dell’alimento, la parte fino a ieri non edibile, rispolverando una ricetta ben conosciuta in passato dai ceti più poveri.