Agro-industria, storie e stili di successo

agroindustriaUna mattinata ricca di spunti interessanti quella tenutasi lo scorso venerdì 14 giugno, presso la Sala Convegni di  Confindustria Salerno, sul tema “Agro-industria, storie e stili di successo – Modi e mode che hanno conquistato il mondo”, workshop inserito nel Progetto “Animazione territoriale e settoriale comparto Agroalimentare” Promosso da Confindustria Salerno – Gruppo Alimentare, finanziato dalla CCIAA di Salerno e attuato da POLARIS – Azienda speciale della stessa CCIAA.

 

L’incontro si proponeva di fornire ad imprenditori, uomini di marketing ed export managers elementi per sviluppare con successo il marketing internazionale delle Aziende agro-alimentari, sia attraverso tecniche e strumenti avvalorati dall’analisi di casi aziendali; sia attraverso le testimonianze di protagonisti dell’Italian Style, nei settori, come la ristorazione e la moda, nei quali prosegue la tradizione dell’affermazione del Made in Italy nel mondo.

 

L’obiettivo è stato senz’altro centrato perché l’incontro è stato connotato da contributi innovativi e insoliti di Carmen Gallucci (DISTRA  – Università degli Studi di Salerno), Gennaro Esposito (Chef – Torre del Saracino) e Andrea Cardinaletti (Vice Presidente Ciro Paone spa – Kiton), efficacemente moderati da Luciano Pignataro, giornalista e food blogger salernitano.

 

L’avvio alla discussione è stato dato dal presidente del Gruppo Alimentare di Confindustria Salerno, Francesco Senesi, il quale si è fatto portavoce dell’esigenza di presentarsi sui mercati in maniera compatta, «valorizzando sia le aggregazioni che si è in grado di mettere in campo, ma anche – se non soprattutto – il “brand produttivo” del territorio di appartenenza, attraverso proposte accomunate dal filo rosso dell’eccellenza qualitativa» (cfr. intervista – rubrica Focus on, ndr).

 

La prima a fornire poi valide indicazioni per migliorare il processo di internazionalizzazione delle imprese è stata la professoressa Carmen Gallucci che ha ben chiarito quanto sia fondamentale un approccio pianificato se si decide di esportare all’estero. «L’internazionalizzazione – ha precisato la Gallucci – è un processo che non si improvvisa, anzi. Per complessità un’azienda che sceglie la via dell’internazionalizzazione è come se scegliesse di aprire un’altra impresa, di avviare una seconda attività. Per questa ragione non è più sufficiente per l’imprenditore pensare a un buon prodotto, quanto ad un prodotto che sia esperienziale e in quanto tale unico, irripetibile, inimitabile. Così come va pianificata la scelta del Paese. Nulla va lasciato al caso se l’obiettivo è ottenere dei risultati durevoli e di successo».

 

Curiosa e coinvolgente la testimonianza del pluristellato chef della penisola sorrentina, Gennaro Esposito che ha snocciolato criticità e punti di forza per creare un circuito virtuoso tra cucina, enogastronomia e turismo, sia nel nostro Paese, sia oltre confine. Per Esposito «bisogna far sì che cucina, agro-industria e territorio si parlino, collaborino, si rinforzino a vicenda, spezzando la catena di isolamento che svilisce l’uno o l’altro elemento e soprattutto che ci si muova in squadra, seguendo progetti corali, come un sistema compatto e coeso non come singole realtà seppur di successo». Esposito ha poi rimarcato come spesso all’estero «non si esporti il vero italian style, quanto piuttosto una sua volgare imitazione. Fenomeno assolutamente da contrastare».

 

A mancare del tutto sarebbe quindi una sorta di country strategy dal punto di vista organizzativo e comunicativo, senza la quale non può esistere un coordinamento efficace e foriero di risultati positivi.

 

Interessante e coinvolgente anche la testimonianza di Andrea Cardinaletti – cfr. intervista – rubrica Focus on, ndr – che, in tema di italian sounding, ha precisato come «il Made in Italy sia una definizione che ingloba in sé concetti come  territorio, radici e tradizioni. Di rimando, difendere oggi il Made in Italy equivale a dare spessore e coerenza ai talenti che lo rendono unico e irripetibile, senza entrare in competizione con chi sviluppa inclinazioni che non ci sono proprie. In una parola, senza “svendersi” pur di entrare nel compromesso della globalizzazione o della crescita ad ogni costo, custodendo la propria  nostra autenticità e con essa, pertanto, il vero valore di un’azienda».